domenica 29 giugno 2008

Una letteratura di ragazzi per ragazzi

Almeno così pare dall'articolo del Corriere della Sera:
Sono arrivati i nipotini di Tolkien, ragazzi giovanissimi (sorpresa: anche italiani), dalle solide basi culturali, capaci di parlare ai loro coetanei al punto da far uscire dalle ombre della non-lettura gli adolescenti

In realtà lo stesso Corriere aggiunge: "nuovi casi editoriali premono, anche se a volte è legittimo il sospetto che siano creati nei laboratori degli editori"

Articolo non recentissimo, ma continuo a meditare sull'argomento e del resto in rete se n'è discusso parecchio.
Io sono per il fantasy per adulti. Non è un tifo calcistico, sono semplicemente i miei gusti. Mentre i libri che nascono da operazioni di questo tipo non li giudico a priori perché è da scemi sparare sentenze dopo due righe o addirittura dalla quarta di copertina, e purtroppo con l'arretrato di cose da fare che ho, non sarà semplice che trovi modo di leggerli tanto presto.

Il fantasy, qualunque cosa sia nel resto del mondo, in Italia è in una fase adolescenziale. Pochi scrittori esperti (senza voler offendere nessuno) e un pubblico molto giovane per il quale va montando sempre di più un fenomeno voluto, il lancio di nuovi giovanissimi autori. Una novità grossa è il successo di vendite che almeno in un caso (Licia Troisi) si è saputo creare. Ci mancherebbe che le case editrici non ne approfittassero.
E' un peccato però che ora sia il momento dell'esordiente giovanissimo e basta, visto che tante volte ho avuto il piacere di parlare su queste pagine di alcuni autori italiani veramente meritevoli. E non erano giovanissimi.

I mercati si evolvono, i gusti del pubblico anche. E anche le decisioni delle case editrici probabilmente si evolveranno (io lo spero).
Per adesso i migliori auguri a quelli che il Corriere della Sera chiama "I nipotini di Tolkien."
Ma mi auguro che cresca presto un mercato anche per il fantasy adulto, e che le case editrici lo prendano in considerazione.

martedì 24 giugno 2008

Oh Nuovo Mondo Mirabile!

Di Ridley Scott abbiamo letto un'intervista abbastanza recente in cui affermava che la fantascienza è morta e sepolta come il western: con buona pace di quanti si appassionano ancora oggi per le avventure nelle grandi praterie e per gli amanti dello spazio e delle astronavi.
Intervista sconvolgente, perché per il grande regista nella fantascienza tutto era stato già detto e già fatto: e non lo diceva uno qualunque ma l'autore di una pietra miliare come il film Blade Runner, opera ancora estremamente attuale e godibile.
Sono passati tanti anni e la fantascienza distopica e impegnata non sempre si è ripresentata in gran forma. Certi film peraltro godibili come ad esempio la serie di Matrix, Io Robot, Minority Report o Io Sono Leggenda non hanno raggiunto la profondità e la grandezza dell'opera di Scott, ma oggi il regista inglese ritorna e sembra interessato a un'altra delle distopie celebri: quel Mondo Nuovo (Brave New World), scritto da Aldous Huxley negli anni trenta dello scorso secolo, che raggiunse una certa fama ma rimase, nella memoria, in secondo piano rispetto al molto più celebre, epocale, violento 1984 di George Orwell.
Del Mondo Nuovo è stato già notato il carattere ben più fantascientifico: molte previsioni contenute nel libro hanno avuto qualche riscontro nella realtà e del resto si basavano su estrapolazioni logiche in linea con lo sviluppo tecnologico del tempo. L'autore si poté perfino permettere, anni dopo, di scrivere un Ritorno al Mondo Nuovo per discutere su cosa si era verificato e cosa non era avvenuto, e perché.

Il discorso politico, che è presente e che purtroppo è stato svolto in maniera un po' pedante, appesantendo il libro, non è privo di spunti interessanti. Non c'è la violenza totalitaria del Grande Fratello di Orwell ma tutta l'invadenza di un capitalismo avido e un'influenza delle menti sia palese che occulta, aiutata dagli slogan, dalle droghe e dalle tecnologie. Nel complesso non è un'opera che ci presenta un possibile futuro temibile, ma una che ci porta a farci serie domande sul nostro stesso mondo di oggi. Anzi sarebbe in effetti ben più azzeccata, profetica, intrigante del libro di Orwell. Purtroppo è stata scritta in uno stile che al confronto farebbe sembrare trascinante una seduta del parlamento europeo.
Trarne un buon film sarà il compito erculeo di Ridley Scott; sembra che la parte del protagonista spetterà a Leonardo di Caprio, mentre la sceneggiatura verrà curata da Andrew Nicholls.
Prepariamoci a scoprire il "Nuovo Mondo Mirabile" attraverso la cinepresa di un grande artista.

La pagina di Wikipedia su Il Mondo Nuovo.

sabato 21 giugno 2008

Faticaccia bestiale


Come avevo scritto molto, molto tempo fa, sto cercando di pubblicare un mio vecchio gioco di carte (ovvero, un gioco da tavolo il cui componente principale è uno o più mazzi di carte).
Questo tentativo procede, ma devo dire che ha le sue belle difficoltà, non inferiori a quelle del pubblicare un libro (non che qualcuno mi stia pubblicando, quindi il paragone è un po' inventato...). La fase di playtesting, ovvero le partite di prova, che portano a dover applicare modifiche e a correzioni, hanno richiesto molto tempo (e il gioco è molto cambiato in seguito a queste modifiche). Il paragone potrebbe essere quello con l'editing di un libro, anche perché si tratta di correzioni non sempre desiderabili per l'autore.
La parte che dovrebbe essere più importante, trovare chi intende pubblicare il gioco mettendo insieme le forze necessarie ad assicurarne la produzione e distribuzione, sarebbe fatta (incrociando le dita).
Tuttavia doversi coordinare fra diverse città con diverse persone che collaborano ad un progetto è tutt'altro che facile. In questi casi sembra valere la regola che tutto quello che può essere frainteso, lo sarà.
Scrivere e riscrivere regole, valori delle carte, come devono essere fatte eccetera mi ha preso un bel po' di tempo. Il resto del processo produttivo non lo vedo neanche (artisti, promotori, sviluppatori ecc...). Ma procede, a quanto pare. L'illustrazione che vedete qui viene proprio dal prototipo.

Riuscirà il vostro eroe a veder pubblicato il suo gioco? Lo sapremo entro il 2009, credo. Ovvio che, per scaramanzia, non ci credo fino a che non lo vedo...

venerdì 20 giugno 2008

Ehi! Finalmente ho vinto qualcosa anch'io!


Ringrazio Mirtilla per il premio (il Brillante Weblog 2008).
Personalmente però non so se riuscirò a scegliere altri blog cui concedere l'ambito trofeo perché sono davvero incapace di... giudicarli.

venerdì 13 giugno 2008

Delos e dintorni


Ho completato (ieri) il corso di scrittura creativa della Delos Books. Si parlava della possibilità di numerosi interventi ma alla fine il corso è stato un "one man show" tenuto da Franco Forte, autore che provenendo da molteplici e differenziate esperienze sul campo, ha delle cose ben precise da dire riguardo al mestiere di scrivere.
Visione orientata al mercato, innanzitutto. Hai qualcosa di interessante da dire se qualcuno è interessato a leggerla. Se scrivi qualcosa che sarebbe stato molto bello per i gusti di trent'anni fa... be', hai scritto qualcosa che andava scritto trent'anni fa. Ovviamente questo mi pizzica un tantinello, visto che il fantasy che vorrei scrivere io non è quello che va di moda adesso.
Poco spazio per l'arte fine a se stessa, insomma, molte informazioni interessanti, e spero anche utili, per uscire da quel terribile "Comma 22" che suona sempre nella mia testa in versione personalizzata:

se non hai già pubblicato nessuno ti da retta, ma se nessuno ti da retta non puoi riuscire a pubblicare


Ma c'era anche l'incoraggiamento ad avere "coraggio nel difendere le proprie idee." Non si sa mai, si potrebbe anche avere ragione!
Insomma, è stata un'esperienza interessante, e anche il confronto con certe realtà dei fatti può sì essere demoralizzante, ma è sempre meglio che tenere la testa sotto la sabbia. Un 8 e mezzo al corso della Delos Books!

mercoledì 11 giugno 2008

Crudeltà e violenza

Il discorso può sembrare off topic ma lo è fino a un certo punto. Per quanto riguarda il fantasy, che viene letto spesso dai giovanissimi, non lo è per niente: nella narrazione fantastica infatti c'è una gran quantità di ammazzamenti.

La storia fantasy tipo ha a spesso a che fare con la guerra e non credo peraltro sia il caso di raccontare a un tredicenne che in guerra non ci si ammazza. Forse però sulla descrizione degli atti violenti sarebbe opportuna una certa cautela, una riflessione sul pubblico a cui la storia è destinata. La descrizione di come il Dottor Scherzo (in Elric di Melnibone) tortura i prigionieri per farli parlare tagliando loro lembi di carne e gettandoli con nonchalance nel fuoco contiene un sadismo compiaciuto (proprio nella rapidità dell'atto menzionato quasi di sfuggita) che meriterebbe l'etichetta di vietato ai minori di 18 anni... ma appena lo scrivo mi rendo conto che: 1) io l'ho letto prima dei 18 anni e non mi sembrava niente di così terribile e 2) probabilmente con questa affermazione somiglio più che altro a una dama di carità.
Personalmente faccio una distinzione fra lettura (che vede sempre il fruitore costretto a impegnare il cervello per seguire la narrazione e quindi non ne viene influenzato per via subliminale) e visione televisiva o cinematografica dove l'immagine o il messaggio va a segno senza dare il tempo di essere elaborato.
E c'è anche una distinzione da fare per quanto riguarda la preparazione culturale di chi riceve un messaggio.

La persona ha diritto di leggere e di vedere. Ma forse bisognerebbe anche riflettere su come lo spettacolo violento può essere vissuto da chi vi assiste. Un esempio classico è quello di Arancia Meccanica, un film violento (ma oggi non è più nemmeno VM18!) che a me piacque molto, ma che ha aperto la strada a molte pessime cose. Un grande regista (Stanley Kubrick) si ispirò al libro di un bravo scrittore (Anthony Burgess) e creò un capolavoro che non era privo di una sua morale e di una serie di messaggi, ma soprattutto si distingueva per una accattivante estetica della violenza che forse non è mai più stata superata. Vi fu polemica, Kubrick chiese e ottenne che venisse ritirato in Inghilterra, ma più che altro lo fece per non aver problemi a casa propria.
Pur essendo ben lontano dalla pornoviolenza di oggi (vedi film come Hostel, ecc...) quello fu uno dei lavori che spianarono la strada. Un conto è lo spettacolo violento propinato a coloro che, cresciuti in un'epoca dove si era ancora bravi ragazzi timorati di dio, lo vedevano con il filtro di tutta una serie di barriere morali e culturali. Un altro è il risultato devastante che si ha nella società che è venuta dopo, totalmente sbracata e senza punti di riferimento. Burgess, che poverino aveva scritto il ben più moderato libro e non girato il film, si è pentito della sua opera e anche di aver difeso a spada tratta il lavoro di Kubrick: ebbe dunque l'onestà intellettuale di riconoscere che il tempo gli aveva dato torto.

Il diritto di assistere a uno spettacolo violento non è sempre stato dato per scontato, anche se nel mondo occidentale c'è sempre stata una gran quantità di spettacoli crudeli sanzionati dalla società, dai gladiatori di antica memoria alle corride, per non parlare del... pugilato. Quello che non passava era la violenza fine a se stessa, non mascherata da competizione. Oggi c'è tutto quello che si vuole. E sarebbe molto difficile proibire la fruizione di uno spettacolo violento. E' una situazione ideale?

Quando gli adolescenti assistono a (o traggono dai libri, sempre che ne leggano) scene di violenza a valanga, quando i giochi per computer forniscono una bizzarra visone in cui vai in giro a sfracellare gli avversari con armi potentissime e se vieni beccato tu, perdi "una vita" e ricominci subito daccapo, non c'è da stupirsi se diventano così normali crimini come un omicidio, uno stupro, o l'accanirsi contro chi non sa difendersi. Poi davanti al giudice o alla polizia, i colpevoli non riescono a spiegarsi quello che è successo, o non capiscono di aver fatto qualcosa di male. Non dico che succeda sempre, però succede. La società dovrebbe proporre una morale o lasciare il diritto di scegliersi la propria? Non so, di fatto quando i genitori o i prof dicono quattro parole contro la violenza in una società che la fa respirare dappertutto, non sono credibili.

Nella trilogia cinematografica del Signore degli Anelli la violenza è relativamente moderata (poco sangue), e questo è un bene. Però c'è una particolare visione manichea molto comune nel fantasy: la chiamerò in maniera molto impropria disumanizzazione dell'avversario. Impropria perché intanto l'avversario per lo più non è umano (orchi o altri mostri ripugnanti), e in secondo luogo perché la "cattiveria" del nemico è connaturata e non è frutto di una propaganda dei "buoni," perciò non è opinabile.
Tuttavia il risultato è che, quando si può, il nemico va sterminato senza pietà, è una massa anonima che va spazzata via senza patemi morali, va macellata di gusto, e questa è la sensazione che viene trasmessa allo spettatore (e al lettore del libro). Stessa cosa che succede nel sadismo cinematografico in genere, quando allo spettatore possono essere propinati con tranquillità spettacoli di intensa crudeltà con la giustificazione che chi subisce è "malvagio" e quindi se lo merita.
Per citare un esempio non fantasy e abbastanza lontano nel tempo a dimostrazione della generalità di questa tendenza, posso riferirmi al film Quella Sporca Dozzina, in particolare due scene, quella in cui una di queste simpatiche canaglie cattura, terrorizza con compiacimento e poi lavora di coltello una donna tedesca nel caposaldo dove è riuscito a penetrare, e quella in cui la sporca dozzina brucia vivi i tedeschi che si sono rifugiati in un bunker sotterraneo (mettendosi così in trappola). Va tutto bene perché sono nazisti, e magari in guerra va veramente tutto bene perché si deve vincere, si è in pericolo ecc... ma in realtà l'operazione, anche qui, è quella di giustificare uno spettacolo crudele.

Dove voglio andare a parare? Non ho le idee chiarissime ma so che l'esposizione a spettacoli violenti in tenera età fa male. I libri mi preoccupano di meno: la violenza sulla pagina scritta viene per forza interpretata di più e filtrata più razionalmente. Film e televisione invece credo (utopicamente) che dovrebbero adottare ben altri standard, tenendo conto di tutte le persone che andrebbero tutelate (anche perché si leggono i libri a un'età più adulta, se si leggono). La televisione può avere effetti devastanti e creare dei veri e propri traumi. Sforzandosi probabilmente ciascuno di noi può ricordare qualche scena che lo ha colpito negativamente e che si è ricordato per un pezzo, perché l'ha vista ad un'età in cui non poteva ancora pienamente interpretarla e comprenderla. E non si tratta semplicemente dei film e telefilm (che comunque fanno entrare nelle case migliaia di scene di omicidi visto che la censura funziona solo contro le scene di sesso...) ma anche semplicemente di scene dure che vengono tranquillamente trasmesse dal telegiornale. Quando si è bambini non si riesce a capire veramente tante cose.
Uno potrebbe pensare che, per essere preparati alla durezza della vita, si debba ricevere la giusta dose di shock e visioni terribili fin da piccoli. Invece, chissà perché, non è così. I bambini crescono psicologicamente forti se vengono protetti dalla realtà e dalla visione del male.

Poi rimango dell'opinione che chi è maggiorenne e vaccinato abbia il diritto di vedersi tutta la violenza e la pornografia di questo mondo, magari ricevendo un avvertimento che lo renda consapevole di stare facendo qualcosa sopra le righe, e lo ammonisca a non esporre altre persone meno consapevoli. D'altra parte, c'è molta violenza in quello che scrivo, in quello che leggo, e nei film che guardo, e non voglio fare un discorso ipocrita. Ma resto convinto che sia imbecille la maniera in cui si permette che ragazzi di 13, 14 anni e perfino bambini piccoli vengano esposti a certi spettacoli. So anche, ovviamente, che tutto il discorso che sto facendo suona fuori posto nel mondo di oggi.

Un articolo del corriere sul 'pentimento' di Anthony Burgess

Quella Sporca Dozzina su Wikipedia (in inglese)

Sulla violenza in televisione le pagine di Nonluoghi.info, della rivista online Bibliomanie, e di un sito creato dal cappellano di un carcere.

sabato 7 giugno 2008

La fine di un'autrice molto speciale

Il 28 maggio è morta Dianne Odell, che deteneva uno strano record: era la persona più a lungo sopravvissuta, negli Stati Uniti, a una malattia che la costringeva a vivere in un polmone d'acciaio.

Questi macchinari assomigliano a grossi scaldabagni, e permettono la sopravvivenza di quelle persone che, per qualche patologia (poliomelite, di solito) non hanno respirazione autonoma. Il paziente vi viene sigillato a livello del collo, solo la testa rimane fuori. Il macchinario crea una pressione negativa che causa l'espansione della cassa toracica e permette così la respirazione artificiale.

A causa della quasi definitiva scomparsa della poliomelite e dell'avvento di moderni sistemi di ventilazione (di cui però la Odell non poteva servirsi) oggi il polmone d'acciaio è una macchina in via di dismissione, una volta invece erano molte le persone costrette a vivere in queste terribili condizioni (ricordo anche un'italiana di cui avevo letto da ragazzo).
La Odell in gioventù era stata in grado di passare un po' di minuti fuori dal polmone d'acciaio, ma ormai ne era completamente dipendente. E' morta drammaticamente, per via di una tempesta che ha causato la mancanza di corrente nella casa. Il polmone d'acciaio si è fermato e il mancato funzionamento di un generatore di riserva ha costretto il vecchio padre a cercare di tenerla in vita con la respirazione artificiale mentre si cercava una soluzione, che purtroppo non è arrivata in tempo.

In stile decisamente americano, Dianne Odell era riuscita comunque ad ottenere il massimo possibile dalla vita. Aveva preso il diploma ed era un'autrice, avendo scritto (assai lentamente) un libro di argomento fantastico, servendosi di un computer comandato a voce.

Una notizia letta per caso. Per un po' me la sono rimuginata perché non volevo fare un post "patetico" ma alla fine ho voluto, nel mio piccolo, rendere omaggio a tanto coraggio. Ho inserito due video che riportano una sua intervista (in inglese purtroppo, non ho capito tutto...).

Prima parte dell'intervista:



Seconda parte:



Il libro della Odell si intitola Blinky Less Light e narra di una stella piccola e poco luminosa che riesce a diventare una stella del desiderio, e il desiderio che concederà salverà un bambino. E' un libro per ragazzi che ha venduto 100.000 copie ed è ora fuori circolazione. Può essere ottenuto soltanto, pare, attraverso una fondazione religiosa che raccoglieva fondi per Dianne Odell.

mercoledì 4 giugno 2008

Io sono leggenda


In questo colossal l'unico attore degno di nota è Will Smith, che se ne va a spasso per una New York deserta assieme al fedelissimo cane. E il cane, pensa un po', è già esistito in una versione precedente.
Perché Io sono Leggenda ha alle spalle una storia assai lunga. Prima, ovviamente, è venuto il libro di fantascienza pubblicato nel 1954 da Richard Mateson (libro che... dovrò trovare assolutamente il tempo di leggere). Quest'opera ha avuto il pregio (discutibile o no che sia...) di contribuire all'immaginario del genere Zombi che sarebbe nato non molto tempo dopo. Nel libro l'umanità viene quasi spazzata via da una malattia, e le vittime diventano una specie di vampiri. E così è anche (attenti ai numerosi SPOILER!) nel primo film ricavato dal romanzo, e alla cui sceneggiatura partecipò lo stesso scrittore, anche se poi non volle essere menzionato perché in polemica con alcune modifiche che non aveva approvato. L'Ultimo Uomo sulla Terra è, chi lo avrebbe mai detto, una coproduzione italo-americana girata in Italia negli anni '60 ed è Roma (non menzionata) che per prima ottiene l'onore di essere la sinistra città deserta dove il superstite vaga tra mille pericoli.
Il film riprende diverse tradizionali tematiche delle leggende sui vampiri, una caratteristica piuttosto ingenua. Così abbiamo ghirlande di aglio sulla porta per respingerli, paletti di legno per eliminarli, eccetera. Il protagonista soffre molto per la perdita della famiglia, narrata in un flashback decisamente troppo lungo, ed è felice quando troverà un cane... ma l'animale è infetto ed egli dovrà subito disfarsene. I vampiri attaccano la casa del sopravvissuto (interpretato da Vincent Price) in maniera non molto efficace, e lui li stermina ogni giorno per poi bruciarli. Ma ci sono degli infetti (se ne vanno in giro tutti vestiti di nero, chissà perché...) che hanno trovato un rimedio non definitivo, un vaccino che non elimina ma frena lo sviluppo del morbo, e vedono il nostro eroe come un mostro. Come mai? Perché uccide indiscriminatamente tutti, probabilmente ha eliminato anche qualcuno di loro, e inoltre ha tradito l'umanità dal momento che, pur essendo uno scienziato, non è stato capace di salvarla. Studieranno uno stratagemma per liberarsi del nostro sfortunato protagonista.
Un remake fu girato dopo pochi anni, protagonista Charlton Heston: 1975, Occhi Bianchi sul Pianeta Terra. Qui i "vampiri" vittime della malattia restano del tutto umani anche se acquisiscono gli occhi bianchi del titolo italiano (titolo USA: The Omega Man). Sono comunque fotosensibili come nella versione precedente... e sono ciechi. Per questo motivo il buon Charlton Heston riesce a passare serate quasi tranquille nel suo palazzo circondato da nemici che hanno molta difficoltà a realizzare il desiderio di mettergli le mani addosso (ma alla fine ci riusciranno, oh se ci riusciranno). Questi avversari sono riuniti da una specie di fanatico in un gruppo che si è dato il nome di "Famiglia," ed ha una sua ideologia, che comprende l'odio verso la scienza. Il protagonista di questo film è tutt'altro che il mio attore preferito, però il risultato generale è più che discreto, secondo me.
Di ispirazione non diretta dal libro, ma con un'idea molto simile, è 28 Giorni Dopo. In questo film di pochi anni fa gli "infetti" sono dei violenti e aggressivi cannibali privi di ogni raziocinio. Qui la malattia viene diffusa nel mondo da un gruppo di animalisti che libera delle scimmie senza sapere che sugli animali viene condotto un esperimento per mezzo di virus. Ci sono dettagli sul panico, i tentativi di controllare l'epidemia, di evacuare le città, ecc... però una differenza fondamentale è la sopravvivenza di un gruppo di persone che collaborano per salvarsi e viaggiano in cerca di migliori condizioni, non di un uomo solitario che rimane assediato. Inoltre l'infezione si ferma all'Inghilterra.
Degno di nota, secondo me, un bravo protagonista, Cillian Murphy, e grandiosa la scena in cui un caposaldo tenuto da soldati (andati abbastanza fuori di testa) viene invaso dagli infetti, ma soprattutto una eccezionale Londra deserta in cui il protagonista si aggira da solo con l'accompagnamento di una colonna sonora semplicemente eccezionale.
A 28 Giorni Dopo si aggancia il "sequel" 28 Settimane Dopo, in cui il morbo che si credeva debellato ritorna più vispo che mai e riesce a raggiungere il continente! Non oso pensare cosa potrebbe accadere se gireranno 28 Mesi Dopo...
Il film più recente, quello con Will Smith, ha una caratteristica simile a 28 Giorni Dopo. Gli infetti sono praticamente degli zombi feroci e completamente impazziti, che aggrediscono gli uomini per divorarli. Resta il timore della luce, ma questi zombi sono ben diversi dall'americano medio: la malattia può averli danneggiati in molti modi ma sono agili come scimmie e fanno cose che sarebbero impensabili per la persona media che incontrate per strada. Come lo spiega il film? La risposta è semplice: non lo spiega. Inoltre il film capovolge il significato originale del titolo. "Io sono leggenda" voleva dire (nel libro e anche nel primo film) che il sopravvissuto diventa una leggenda (negativa!) per gli infetti che ricostruiscono un mondo senza uomini sani e si liberano dell'ultimo di essi. Il personaggio interpretato da Will Smith diventa "leggenda" perché, nel tempo libero, usa un laboratorio fantasmagorico per scoprire una cura per il male.
Comunque queste pellicole sono tutte abbastanza godibili (se non cercate il capolavoro denso di significati); io sono del parere che i film più vecchi, che mantengono l'idea del libro di Mateson dove gli infetti rimangono senzienti e interagiscono con il protagonista, abbiano una marcia in più rispetto alle versioni più recenti, imperniate fondamentalmente sull'azione.

domenica 1 giugno 2008

Struggle of Empires


Questo è il più bel boardgame cui abbia giocato negli ultimi tempi. La mia esperienza è di lunga data, fin dai tempi lontani in cui, non esistendo ancora i computer, giocavo a delle complesse simulazioni militari, prodotte da ditte come Avalon Hill, SPI ecc... li chiamavamo wargames (un termine che gli anglofoni riferiscono più ai giochi di miniature) e per la loro complessità i giocatori che vi si dedicano ancora sono rimasti in pochi (e pochi di loro sono giovani). Anche io sono passato a intrattenimenti più gestibili ma non mi dispiace quando un gioco riesce ad essere una valida sfida strategica senza ammazzarmi con il peso di un regolamento troppo complesso.
Struggle of Empires (pubblicato dalla Warfrog, compagnia di cui fa parte Martin Wallace, il disegnatore di questo gioco) è un compromesso a mio parere molto ben riuscito di complessità e giocabilità. Il gioco è ambientato nell'era dell'espansione coloniale europea (diciamo, tra il seicento e il settecento) quando il mondo era ancora da scoprire, sfruttare e sottomettere per il vantaggio economico dei grandi imperi. Le truppe che si utilizzano sono molto astratte: flotte, armate e fortezze (che valgono doppio, ma solo in difesa). Mentre alcune zone d'Europa sono campo di battaglia (e tra queste l'Italia) altre sono le superpotenze: Gran Bretagna, Provincie Unite ovvero Olanda, Prussia, Austria, Russia, Spagna, Francia. Questi paesi non sono terreno di scontro, sono gli aggressori che invadono gli altri stati e si contendono la supremazia. Le zone di espansione coloniale sono mostrate in vari riquadri nella mappa (India, Indie Orientali, Americhe, Africa, ecc...). Vi si accede via mare e l'uso delle flotte è fondamentale per potervi trasferire la propria potenza.

Il gioco è suddiviso in tre "guerre" in maniera molto astratta. Una semplificazione che permette di condurre una partita nel giro di una serata (più o meno: il fatto che possano giocare fino a 7 persone può creare qualche problema). Ogni guerra dura un numero limitato di round, durante i quali ciascun giocatore compie solo due azioni.
Per ogni guerra ci sarà da stabilire chi è alleato con chi. Lo si fa con un sistema di puntate in cui si gioca il denaro per avere il privilegio di collocare una coppia di paesi nelle alleanze contrapposte (ovviamente uno di essi può essere il proprio). Possono essere alleanze molto pelose, ovviamente! Spesso si fa di tutto per essere alleati di un giocatore pericoloso e forte i cui interessi siano puntati alle stesse zone che vorremmo conquistare noi: il fine è di non essere costretti a combatterlo direttamente (almeno per ora!). Gli alleati possono appoggiarsi vicendevolmente con truppe e flotte, ma ogni volta questo aiuto è negoziabile (e spesso non si verifica). Perciò essere in alleanza con un certo impero significa solo che, per questa guerra, non si dovrà temere il suo attacco.

Il movimento delle proprie forze è facilitato da delle regole piuttosto permissive (in pratica con una sola mossa si può andare dappertutto) ma vi sono anche dei limiti. Per poter spostare le proprie forze in una zona coloniale bisogna avere una flotta in quella zona: e peggio ancora, questi viaggi oltreoceano possono fallire con la conseguenza che le armate o le flotte vadano perdute o rimangano al punto di partenza. Inoltre, in un movimento si possono spostare solo due unità e c'è tantissimo da fare in molti posti diversi, e le forze armate costano, poiché si spendono "punti popolazione" per produrle (e questo fa perdere quattrini nella fase economica che si tiene fra una guerra e l'altra).
Cosa si va a cercare nelle zone di conquista? Anche qui Struggle of Empires ha creato un'intelligente semplificazione. Ci sono delle pedine con una forza difensiva variabile che si estraggono casualmente e si dispongono sulla mappa prima di ogni guerra. Nell'immagine, potete vedere quelle pedine di cartoncino (counters) con la scritta German States 4, German States 3 ecc... Queste pedine neutrali sono oggetto di conquista. Nella stessa immagine le pedine rotonde gialle e rosse sono le conquiste (control tokens) rispettivamente di Spagna e Gran Bretagna. Che si tratti del dominio di un Maraja o di un principato indipendente in Sassonia queste sono le prede che incrementano il dominio delle potenze imperialiste e sono fondamentali sia per la produzione economica che per i punti vittoria.
Una parte importante del gioco quindi consiste nel conquistare queste pedine neutrali e trasformarle nei propri indicatori di controllo. Ma attenzione, in alcuni casi le pedine rappresentano opportunità diverse: la possibilità di esportare parte della propria popolazione per stabilire una colonia (è costoso ma non c'è da combattere) oppure la possibilità di prodursi un indicatore di controllo importando schiavi. Anche in questo caso non c'è da combattere ma bisogna collocare una flotta in Africa (gli schiavisti).

Ogni regione possiede diversi valori di punti vittoria, che vengono assegnati ai giocatori che vi possiedono indicatori di controllo. Il valore migliore si da a quello che ne ha di più nella zona, e così via. Perciò essere il più influente porta un grosso premio, ancor più importante in certe zone ricche (ad esempio l'Europa Centrale, che corrisponde approssimativamente alla Germania); ma in realtà riuscire a mettere il piede un po' dappertutto e poi non farsi estromettere porta i maggiori benefici anche senza puntare per forza ad avere la preponderanza.
La guerra è lo strumento che spesso si usa per raggiungere i propri scopi strategici e politici. Ma in realtà la guerra è, ed è sempre stata, una faccenda maledettamente costosa. Come dicevamo, creare flotte e armate costa punti popolazione, e la perdita di popolazione causa una perdita economica permanente (dal momento che scompare chi paga le tasse). Inoltre per ogni perdita militare (fosse anche causata da una tempesta!) si deve prendere un indicatore di malcontento. Il malcontento è una faccenda seria: si sottrae dai punti vittoria alla fine del gioco e chi ne raggranella di più è escluso dalla classifica dei vincitori. C'è la possibilità di diminuire questo malcontento, ma agire in tal senso va ovviamente a scapito di altre iniziative che si potrebbero tentare. Il malcontento si può anche accumulare volontariamente, per spendere il denaro che non si ha. Significa in pratica tartassare i cittadini.
Per inciso, questo fattore viene tenuto segreto da ogni giocatore fino alla fine e falsa la percezione di chi sta vincendo (perché durante il gioco si possono confrontare i punteggi, ma sono "al lordo" del malcontento): questa è forse l'unica regola che m'infastidisce in Struggle of Empires.

Ma esiste ancora un elemento che dà ulteriori tocchi di colore al gioco. C'è tutta una serie di pedine che rappresentano alleati che si possono guadagnare o iniziative commerciali da intraprendere, tattiche militari da acquisire ecc... Si tratta di bonus molto interessanti, ma capirete che, con un numero di azioni limitato e la necessità di guadagnarsi potere sul campo, il giocatore non si può certo limitare a raggranellare queste pedine. Alcune però sono molto importanti: ad esempio l'addestramento (army training) che dona un bonus in combattimento.

Perché questo gioco è così bello?
Perché è un gioiello dove si gioca di astuzia e strategia senza troppa complessità. La ricchezza di dettagli coperti da regole molto semplici ma precise ed eleganti riesce a creare un certo "feeling" dell'epoca. Il dilemma strategico su cosa fare pone continuamente di fronte a scelte importanti: come abbiamo visto ci sono poche azioni e tantissime iniziative possibili. Essendo il gioco così ben bilanciato non esiste una via che tutti scelgono perché più conveniente delle altre. La scelta più banale, portare guerra ai neutrali e agli altri giocatori, può rendere dei grandi vantaggi e tutti prima o poi vi fanno ricorso, ma è anche costosa, sia per chi vince che per lo sconfitto. Il consumo eccessivo di risorse porterà facilmente a ricorrere a una politica fiscale impopolare (pescare pedine di malcontento per aver denaro), e alla fine gli svantaggi potrebbero superare i vantaggi. Inoltre il gioco diplomatico è essenziale per non avere troppi nemici sul campo: muoversi male nella fase delle alleanze può portare anche il giocatore più forte e temuto in una palude di stagnazione e impotenza.
Struggle of Empires è un gioco dove saper rinunciare a una lotta contro il nemico, e aprirsi invece una nuova strada meno costosa da un'altra parte, potrebbe essere alla fine più vantaggioso che affrontare tutte le situazioni con dei testa a testa sanguinosi. Ma la forza militare gioca pur sempre un ruolo preponderante.
Il regolamento è (relativamente) semplice ed accessibile, e ne esiste anche una versione italiana da qualche parte. Potete leggere (in inglese) altre informazioni su questo gioco nelle pagine di Boardgamegeek (da cui ho preso anche diverse illustrazioni, come potete vedere).