giovedì 25 febbraio 2010

Ha ragione Google o no?

Off topic? Fino a un certo punto...

Si sono scomodati anche Hillary Clinton e l'ambasciatore americano a Roma: del resto saremo magari un piccolo paese periferico, ma la presa di posizione contro la libertà della rete è piuttosto forte, quasi a livello...cinese.
Riepilogando quello che è successo, si tratta del famoso video pubblicato in rete da alcuni ragazzi che si sono ripresi mentre sottoponevano un compagno down a delle vessazioni. La sentenza dei giudici non colpisce il contenuto del video, ma condanna tre esponenti di Google Italy per non aver tutelato la privacy della vittima.
Google si difende dicendo che le persone incriminate non hanno né girato né diffuso il video. Che però è rimasto visibile per parecchi giorni (un paio di mesi secondo il sito di Repubblica) prima che venisse tolto. Anche lì, la difesa di Google è che appena c'è stata una richiesta ufficiale il video è stato rimosso.

Se la sono presa anche quelli di Wired...



Con buona pace di chi pensa che i giudici siano tutti comunisti sfegatati, questa sentenza è un ottimo precedente per favorire i tentativi (finora goffi e subito abortiti) di mettere sotto controllo la rete in Italia. Forse è esagerato dire che la rete sia l'ultimo baluardo dell'informazione libera (l'opposizione ha bene o male ancora i suoi spazi televisivi), forse anche presso l'opposizione o parte di essa della libertà in rete se ne farebbe ben volentieri a meno, anche se non c'è il coraggio di dirlo, insomma è abbastanza certo che la rete può dare fastidio: perché non addomesticarla?
Mettere un semplice blogger (come il sottoscritto) nella posizione di un responsabile di testata di stampa può essere un buon modo per intimidirlo (e magari convincerlo a cercare un altro passatempo): fino a che il blogger è semplicemente una persona che dice quello che gli pare e lo rende disponibile a un certo indirizzo web, non è così facile venire a bloccarlo anche se, giustamente, resta responsabile di quello che dice (e quello che è illegale offline, giustamente, lo è anche online). Ben altra è la situazione se una pagina come, diciamo, Mondi Immaginari ha le stesse responsabilità del Corriere della Sera.

Poi ci sono i contenuti pubblicati su siti come Facebook o Youtube. Dove tanti si sbizzarriscono con le cose peggiori. Questo materiale creato (o scopiazzato) dagli utenti è business, perché crea l'aggregazione e la visibilità in rete. La posizione dei provider è se vogliamo un po' comoda e quindi lo è anche la difesa. Per citarne una di tante: se uno pubblica una atrocità per mezzo di Google Video, Youtube o un social network l'azienda non ne è responsabile più di quanto le poste siano responsabili se qualcuno spedisce materiale vietato, di qualsiasi tipo, dentro un pacco.

Presa di posizione con qualche crepa quando consideriamo che proprio il regime cinese ha avuto delle grandi vittorie nell'addomesticare questi colossi commerciali e costringerli a proibire i contenuti sgraditi. Perciò questa difesa della libertà totale è, a mio modesto avviso, un po' pelosa, visto che la si fa in maniera diversa a seconda del territorio.

Diciamo che se il postino non è tenuto a sapere cosa contiene il pacco, i contenuti illegali che dilagano senza controllo in rete (e spesso vengono segnalati, diventano fatto sociale, ecc...) sono visibili, sono soggetti ai fitti richiami incrociati dei link e della diffusione virale degli utenti (l'interesse sempre mutevole per la cacchiata del momento, ecc...) e potrebbero essere monitorati per impedire gli abusi più clamorosi. Mi sembra un po' troppo comodo dire di essere per la libertà assoluta solo perché monitorare vuol dire spendere dei soldi.

Con questo non dico di essere a favore della sentenza al cento per cento, e la difesa della libertà in rete preoccupa anche me. Non ho in mano una regola di facile applicazione per affermare il concetto (in maniera fattibile e non repressiva) che questi colossi un occhio ai contenuti ce lo dovrebbero dare, allo stesso tempo senza subissarli di responsabilità troppo difficili da seguire. Però la risposta di Google mi sembra troppo comoda. Così come un blog non è il Corriere della Sera, un fornitore di servizi (che mette a disposizione mezzi studiati apposta per condividere i contenuti con un largo pubblico) non è l'equivalente di un postino che va in giro con un pacco sigillato.

mercoledì 24 febbraio 2010

E' tutta colpa di D&D

Se conoscete l'inglese e non vi siete ancora stancati di leggere cose cretine riguardo ai giochi di ruolo (in questo caso D&D, come al solito: è il più famoso e quindi si prende tutte le colpe), date un'occhiata a questo articolo:
http://news.bostonherald.com/news/regional...suspect_in_slays_fan_of_dungeons/
riguardante Amy Bishop, una professoressa che ha sparato ai suoi colleghi in una università dell'Alabama.

domenica 21 febbraio 2010

Ginger Snaps


Mi son perso la prima del nuovo film di lupi mannari con Benicio del Toro (ma se devo credere al punteggio ben misero ottenuto finora da The Wolfman su Rottentomatoes, sembra che non mi son perso niente) e invece ho finalmente trovato il tempo di vedere un film canadese di una decina di anni fa sullo stesso soggetto: Ginger Snaps, diretto da un regista che aveva lavorato solo per la televisione (John Fawcett) e interpretato nei ruoli principali da Katharine Isabelle (la ragazza castana sulla destra nel poster) ed Emily Perkins (la mora sulla sinistra), due attrici canadesi di cui non so niente, se non che la Perkins ha recitato in It da ragazzina.

La storia è incentrata su queste due ragazze che condividono una macabra ossessione per la morte (si fotografano in pose "forensiche" con tanto di sangue, armi del delitto ecc...) e un modo di vestirsi piuttosto dark (o gotico o come si dice oggi). Le due ragazze sono molto unite ma non legano con i coetanei, tutt'altro, e quando una delle due (Ginger, interpretata da Katharine Isabelle) viene morsa da un licantropo l'altra (Brigitte, ovvero Emily Perkins) si batte contro tutto il mondo per aiutarla, aiutandola a nascondere alla famiglia i cambiamenti in atto nel corpo della sorella e le prove dei delitti che inevitabilmente comincia a commettere.
Allo stesso tempo cerca di trovare un rimedio per la maledizione che è caduta su Ginger.
Dal momento che l'attacco del licantropo avviene proprio quando Ginger per la prima volta ha le mestruazioni, è evidente il collegamento simbolico tra i due avvenimenti (c'è una scena in cui le due cercano di spiegare in una specie di consultorio cosa sta succedendo, ma tutto viene scambiato per i normali sintomi dell'ingresso nell'età adulta).

Le speranze di Brigitte non sembrano avere però una risposta positiva, poiché Ginger diventa sempre più incontrollabile e comincia a farle paura. La trama la lascio qui, mi limito a dire che il film mi è piaciuto pur avendo effetti speciali non proprio all'altezza e qualche particolare che mi ha lasciato perplesso. La storia mescola bene i momenti intimi e personali con la minaccia sovrannaturale della licantropia, procedendo in maniera non convenzionale e facendo a meno dei soliti paradigmi hollywoodiani di questo tipo di trame. Non manca qualche momento divertente e l'umorismo nero, e c'è una buona dose di attesa e di suspence (anche se per me la scena finale è troppo lunga). Il tutto interpretato assai bene dalle due strane protagoniste. Per qualche aspetto Ginger Snaps mi ha ricordato lo svedese Lasciami Entrare, e certamente questi due film mi sono piaciuti più delle produzioni americane che impazzano da anni (Twilight, Underworld, Van Helsing e così via).

Ginger Snaps (titolo italiano: Licantropia Evolution) ha avuto un seguito (Ginger Snaps II: Unleashed) e un prequel (Ginger Snaps Back: The Beginning) tradotti rispettivamente come Licantropia Apocalypse e Licantropia. Se avete pensato che i titoli italiani fanno schifo, sappiate che sono d'accordo. Del seguito so solo che segue le avventure di Brigitte alcuni anni dopo e che andò malissimo al botteghino, forse perché non c'era più la bella e carismatica Katharine Isabelle. Perciò il terzo (il prequel) non uscì nemmeno nelle sale ma direttamente su DVD: si tratta di un film su due ragazze identiche alle protagoniste, ma ambientato nell'ottocento.

Su IBS li trovate tutti e tre a pochi euro.

domenica 14 febbraio 2010

Dopo che la tribù dell'Orissa che ha implorato James Cameron di interessarsi al suo destino (è minacciata da una compagnia mineraria, come in Avatar) anche i Palestinesi usano il film dei gattoni blu come simbolo della loro oppressione (su cui ci sarebbe da fare un discorso un po' più complesso, però).



Sulla trama di Avatar c'è da dire tutto quello che c'è da dire (non proprio in positivo), ma le lacrime di coccodrillo dell'uomo moderno (come le ho definite io nella mia recensione di un paio di settimane fa) sembra che vengano prese stranamente sul serio dai disperati della Terra. Forse vogliono vedere il bluff?

martedì 9 febbraio 2010

Iron Man


Ho resistito per un bel periodo ma alla fine ho deciso di vederlo, visto che Iron Man (regista: Jon Favreau) è uno dei film più spettacolari degli ultimi tempi, e ha mietuto immenso successo. Tratto da un fumetto (riadattato e modernizzato, però), parla di una specie di supereroe, ma non di superpoteri. Lo definirei più un film di fantascienza perché il protagonista ottiene le sue peculiari capacità grazie a una tecnologia avanzatissima.

Il protagonista (Tony Stark) è un industriale e uno scienziato, un tipo in gamba e con un gran spirito che riesce a fornire armi eccezionali all'esercito degli Stati Uniti. Viene catturato all'inizio del film da loschi personaggi con barbaccia e turbante, che vogliono impadronirsi dei suoi segreti (tra i loschi personaggi un cameo di Tom Morello dei Rage Against the Machine). Due anticipazioni sulla trama (saltate al prossimo paragrafo se lo dovete ancora vedere): la prima è che ovviamente se la caverà, costruendo un'armatura potenziata micidiale all'interno della grotta-laboratorio dove è rinchiuso (questa è una stupidata così grande da non crederci, che si possa creare tecnologia sofisticata senza particolari attrezzature, semplicemente smontando e riassemblando altre armi) e facendogliela pagare ai rapitori. La seconda è che scoprirà che c'è del marcio molto più vicino di quanto pensasse.

La storia è insignificante, a me ha pure dato un certo fastidio per i riferimenti alle guerre americane nella zona del Medio Oriente e del Golfo, avrei preferito una situazione inventata. La forza del film sta nei bravi attori, secondo me, ancor più che negli effetti speciali pur notevoli. Robert Downey jr. è fantastico nei panni del protagonista (simpatico e improbabile incrocio tra un donnaiolo e uno scienziato geniale). Gwyneth Paltrow interpreta la sua segretaria Virginia Potts, intelligente, coraggiosa e piena di buon senso: tra lei e Stark sembra poter cominciare qualcosa, ma non comincia mai, e la dinamica tra i due è esilarante. Così come esilarante è la battuta finale del film, che non vi rivelo.

Iron Man non passerà (decisamente) alla storia del cinema ma è molto divertente. Resto in attesa del seguito.

sabato 6 febbraio 2010

Facebook sorpassa i Blog?


Compaiono con una certa frequenza gli articoli che (in rete e sui giornali) cantano il sorpasso di forme di comunicazione come Twitter e Facebook sui blog. Già in passato avevo letto (con scetticismo) della morte della posta elettronica, sorpassata dagli SMS, però la posta elettronica per quanto ne so io gode ancora di discreta salute. E quindi posso sperare che non muoiano nemmeno i blog.

Ragione della crisi sarebbe la possibilità di una comunicazione più rapida con i mezzi sopracitati, mezzi che conosco a dir la verità piuttosto poco: su Twitter veramente non ho nemmeno messo piede, su Facebook ho sospeso la decisione di chiudere la mia pagina ma faccio veramente fatica a seguire quel bailamme di piccole "novità" (o grandi frescacce, a volte) che si inseguono. E di essere chiamato a partecipare a questa o quella causa o a diventare fan di tizio o di caio (di solito scrittori fantasy, a cui voglio un gran bene ma non riesco a seguirne molte iniziative, purtroppo).

Per quanto mi riguarda l'integrazione con il telefonino non mi interessa e nemmeno essere in contatto "real time", lanciare un'affermazione immediata e spontanea che diventa obsoleta nel giro di un giorno o qualche ora... Anzi mi spiace che gli articoli passati si perdano nelle viscere del blog: tutti i rimandi interni che ho costruito nella colonna a destra direi che dimostrano la mia voglia di costruire un blocco di scritti che restino visibili e siano significativi di quello che ho da dire. Tutt'altro che roba da trenta secondi di consultazione, insomma (non ci sono orde di lettori che vanno a ripescare quello che ho detto mesi o anni fa: qualcuno ogni tanto lo fa, però).

A mio parere (un parere poco informato sulla tecnologia, devo confessare) questi cambiamenti dipendono dal succedersi delle opportunità che hanno cambiato l'utilizzo della rete. Così come i blog, a suo tempo, Facebook e Twitter sono la cosa nuova che ha fatto successo. Anni fa, se volevi la tua pagina internet dovevi acquisire un dominio e diventare pratico della materia, oppure quantomeno utilizzare pagine messe gratuitamente a disposizione da numerosi provider: ma c'era sempre la necessità di masticare qualcosa di HTML e di altre nozioni informatiche.

I blog hanno reso tutto più semplice, anche se delle caratteristiche di un sito vero e proprio manca qualcosa. Il loro momento di gloria fu dovuto all'immediatezza e facilità d'uso rispetto a quello che c'era prima. Ora sono arrivate queste nuove piattaforme che offrono una semplificazione ancora maggiore e sicuramente per i giovanissimi sono più interessanti, è normale che lascino i blog e vi si spostino.
Mi sta bene, ma la formula del blog va bene per me e non vedo motivo per cambiare sistema (sempre che blogspot non chiuda i battenti). Del resto in Italia c'è un paio di milioni di persone che i blog li legge...

Comunque se volete farvi due risate eccovi l'annuncio della prestigiosa rivista Wired sulla morte dei blog... è del 2008! Decisamente un annuncio prematuro.

mercoledì 3 febbraio 2010

Skyline 3.000


Un gioco semplice e sorprendentemente interessante. Skyline 3000 pubblicato dalla (a me sconosciuta) casa Z-Man Games si presenta con una quantità di cubetti grigi (i "piani" delle case) e tetti (a volta oppure aguzzi) e una mappa su cui costruire la città. I mazzi di carte danno la possibilità di scegliere le proprie azioni per il turno: costruire, finire l'edificio con un tetto, posizionare in uno dei quartieri della città, che come vedete dalla foto sono colorati in maniera molto vivace, e ulteriormente divisi in zone. Scopo del gioco è conseguire il maggior numero di punti vittoria possibili completando edifici nelle varie zone e cercando di essere quello con più volumetria costruita, o al limite il secondo (che prende qualcosina in meno). Ma ci sono anche altri dettagli: diamo un'occhiata alle regole del gioco.

I giocatori possono occupare lotti edificabili con dei cartelloni pubblicitari (nella foto sono ritti su basette di plastica e sembrano più che altro grosse pompe di benzina). Costa un punto vittoria farlo (e si ha un numero limitato di cartelloni). Questa mossa ha una duplice funzione: si aggiunge un punto vittoria, ogni turno, al carniere del primo e del secondo per volumetria in quella zona (se si è in tale posizione quindi si recupera il punto sacrificato) e inoltre in un secondo tempo si può, spendendo un altro punto di vittoria, rimuovere il cartellone e piazzare un edificio al suo posto. Perciò non si può essere esclusi dalla zona.

Altre costruzioni, che si comprano all'asta, possono essere aggiunte in una zona: nei lotti si possono posizionare parchi anziché edifici (i parchi aumentano i punti di vittoria come i cartelloni pubblicitari) e nello spiazzo circolare (vedi foto) può essere collocato uno spazioporto o un supermercato. Lo spazioporto dà al giocatore con la maggiore volumetria nella zona il diritto di prendere due carte in più. Il supermercato raddoppia i punti vittoria (della zona) per tutti. Il meccanismo dell'asta fa sì che i supermercati arrivino in gioco nei turni finali.

Se qualcuno si fosse chiesto il perché di tetti arrotondati e aguzzi: il primo che pone un edificio in una zona stabilisce il tipo di tetto che gli altri dovranno porre nella stessa zona (come se fosse un dettaglio voluto da un piano regolatore). Siccome i tetti sono limitati, anche queste sono scelte che contano.

In Skyline 3.000 lo scopo fondamentalmente è quello di prendere il controllo di qualche quartiere e mantenerlo, e possibilmente sfruttarlo in proprio al massimo: cosa vuol dire questo? Vuol dire che, per natura del gioco, anche il secondo giocatore (per ordine di volumetria) approfitta dei bonus che si accumulano in un settore grazie a parchi, cartelloni pubblicitari, spazioporti ecc... Perciò la politica giusta sarà quella di escludere, se possibile, gli altri giocatori da una zona in cui stiamo ponendo molte migliorie che valgono punti vittoria. O almeno, escludere l'avversario più pericoloso.

Allo stesso tempo, se possibile, si deve metter piede nelle zone che gli altri giocatori stanno edificando, per essere almeno i secondi classificati (per volume di case) e approfittare dei miglioramenti costruiti dagli altri. M'è venuto da dire, scherzando, che manca una carta bulldozer per spianare gli edifici della concorrenza. In effetti viene proprio la tentazione, ma l'interazione fra i giocatori è limitata (sostanzialmente, a rubarsi lo spazio e a entrare come sanguisughe nelle zone dove un altro sta mettendo i miglioramenti).

Semplice ma con una sua profondità strategica che mi ha colto di sorpresa. Skyline 3.000 mi è piaciuto. Segue un po' il filone dei giochi che ho visto di recente: un numero di turni predeterminato per avere un gioco breve. La necessità di pianificare per la lunga distanza. Il dubbio fra molteplici scelte di linea d'azione. L'arrivo, verso la fine del gioco, di forti possibilità di guadagnare punti vittoria, per dare a chi è rimasto indietro un'ultima possibilità di puntare a vincere. Infine, una ridotta possibilità di fare il "kingmaker" ovvero di aiutare un altro giocatore a vincere, da parte di uno che non può più farcela. Non sono contento al 100% di questa formula perfetta, ma in questo caso il risultato lo trovo valido.