domenica 29 maggio 2011

The Wise Man's Fear

Dopo aver letto in lingua originale The Wise Man's Fear, ovvero il seguito de Il Nome del Vento, concludo di aver senz'altro gradito il libro, ma di essere adesso un po' incerto su Patrick Rothfuss e sulla sua trilogia (o n-logia) in fieri. Dal momento che questi due sono dei gran libroni in cui, spesso e volentieri, per centinaia di pagine non succede nulla o succedono minuzie che un Moorcock abbrevierebbe in due frasi, mi viene da pensare a volte che alla fine ho trovato anche io la mia monnezza in stile contemporaneo, un bestseller prolisso e fuffoso da sfogliare facendosi cullare da una storia che non finisce mai.

Eppure no, vi trovo della qualità, e a volte tantissima, sebbene i temi trattati sembrino spesso terribilmente banali. L'Università con i giovincelli che studiano magia sa tanto di Harry Potter, i nemici sbruffoni e spocchiosi che vogliono rovinare il protagonista ragazzino prodigio sono ormai una noia tremenda, ma Rothfuss tratta qualsiasi tema in maniera completamente originale e sa fartelo vedere (quasi sempre) come se fosse nuovo. Ha personalità, doti enormi da narratore, e sa creare aspettativa e mistero. Credo che per quanto mi riguarda questo scrittore si giocherà tutto nel come saprà portare a termine le promesse che la sua storia ha fin qui acceso. Lo aspetto al varco, perché ha creato sempre più interrogativi e misteri.

Mentre il primo libro mi aveva lasciato del tutto a bocca aperta, con poche osservazioni da muovere (salvo il fatto che la faccenda del draccus comune, o come si chiamava, era veramente un po' noiosa e tirata troppo in lungo), adesso mi trovo a farmi qualche domanda in più. Chi non volesse anticipazioni, è pregato di saltare il resto di questo post.

Innanzitutto, il libro parte con gli studi di Kvothe, l'inimicizia di Ambrose, i debiti e i problemi con i soldi, l'amore disperato per Denna. Tutte tematiche che apparivano già nel Nome del Vento. Vi sono alcuni avvenimenti, tra cui uno che sembra non banale (la litigata alla morte con Devi, l'usuraia) ma che poi finirà a tarallucci e vino. Facendo i conti e tirando le somme, sono oltre trecento pagine in cui non succede nulla. Di solito una cosa simile non la perdono, a Rothfuss posso perdonare anche questo. Non in eterno.

Poi Kvothe parte in cerca di un ricco patrono, e fa addirittura naufragio. Ma la cosa viene scavalcata e non descritta, come se fosse poco rilevante. Il suo compito presso il nuovo datore di lavoro, che è un ricco nobile che potrebbe risolvere i problemi di Kvothe diventando suo patrono, sarebbe di aiutarlo (con le sue doti di cantore e suonatore) a corteggiare una nobildonna. Kvothe, diciassettenne che non è ancora stato con una donna, nondimeno gli dà saggi consigli e lo aiuta con successo, sapendo fornire indicazioni sul da farsi e componendo ballate struggenti per mezzo della sua esperienza di trovatore. Ok, così sia. Nel frattempo, scopre che un alchimista e farmacista di corte sta avvelenando il suo nuovo signore, e riesce a bloccare questo complotto (ma non si scopre il motivo del tradimento: materia che verrà ripresa un domani, o no?).

Per tutto ringraziamento il protagonista viene mandato con quattro fessi a combattere contro una banda di malfattori che ha intercettato più volte gli esattori delle tasse lungo una certa strada, causando al signore una grave perdita economica. Notare che Kvothe non ha esperienza militare e viene nominato capo della spedizione... a discolpa di Rothfuss va detto che il protagonista sospetta che ci sia un motivo per cui il suo patrono semplicemente non lo vuole tra i piedi per un certo tempo e lo manda in una missione dove (crede) non troverà nulla, tuttavia anche questa motivazione mi zoppica un po'.

La realtà è che all'autore serve un motivo per mandare Kvothe a spasso per le foreste dove ammazzerà un po' di banditi facendo sfoggio di feroce magia, conoscerà un mercenario che viene da uno strano popolo e incontrerà Felurian, una specie di mitologica sirena (di terra) che ammalia gli uomini e li porta alla perdizione. Ovviamente Kvothe cede alla tentazione ma non è dominato, pertanto si salva, e anzi apprende i misteri dell'amore senza che per questo sia necessario portare a felice conclusione la sua storia con Denna.


 Dal blog di Rothfuss, la scintigrafia del suo emisfero sinistro...

Visto che accennavo a uno strano mercenario, si tratta di un personaggio così insolito che Kvothe vuole imparare usi e costumi del suo popolo, e alla fine per una catena di eventi deve seguire quest'uomo nella sua patria. Segue pertanto l'intermezzo piuttosto lungo con gli Adem, popolo guerriero delle montagne, mercenari un po' come gli svizzeri, ma con una serie di orpelli in più: una filosofia di vita severa e austera, scuole dove si insegna il combattimento, una quantità di mosse di arti marziali, una particolare ginnastica per il corpo e per la mente, tutte conoscenze che i bellicosi montanari accettano a malincuore di condividere con l'ospite. Così Kvothe, ragazzo prodigio della musica e studente brillantissimo dell'Università, comincia ad andarsene in giro con la spada diventando anche una specie di guerriero e, soprattutto, sconfinando decisamente in territorio Mary Sue con tutte le sue ineffabili capacità.

Della storia d'amore con Denna direi solo che si è prolungata oltre il ridicolo. Dei Chandrian, creature mitologiche che hanno massacrato la famiglia di Kvothe bambino, dico invece che dopo 1.700/1.800 pagine sarebbe ora di saperne qualche cosa... Ci sono ormai troppi misteri aperti e nessuna soluzione.

Tirando le somme delle mie critiche: mi è piaciuto moltissimo The Wise Man's Fear, ma non è all'altezza del precedente, gli avvenimenti che fanno muovere la trama (quando si muove!) hanno una logica molto fragile, ci sono punti in cui la storia fa acqua.
Come sarà il terzo libro? Spero che il buon Rothfuss non mi deluda e mantenga le sue promesse...

mercoledì 25 maggio 2011

Talisman

Un gioco estremamente longevo nonostante sia insulso e insensato. O forse proprio per questo. Cos'è Talisman? Semplicemente una specie di gioco dell'oca, in versione fantasy o stile D&D se vogliamo; ci sono personaggi dagli svariati poteri che si muovono (con la libertà della direzione) su un tabellone. A seconda della casella e degli incontri acquisisicono poteri, armi, seguaci e amici, tesori, oggetti magici e via dicendo... oppure subiscono danni.

Dopo aver girato un po' a vanvera, tra vari incontri e qualche dado da tirare, con un po' di fortuna il personaggio si è evoluto e potenziato (se invece ci ha lasciato la pelle se ne può prendere un altro e ricominciare!) e inizia a muovere avventurosamente verso il centro del tabellone, dove le cose si fanno più dure. Gli incontri sono molto più dannosi e non si acquisiscono più premi a vagonate come prima! C'è da mettere in preventivo qualche pesante battuta d'arresto, nel proprio progresso verso la vittoria finale, vittoria che consiste nel superare qualche prova decisiva o roba simile... non ricordo nemmeno a dire la verità.

Molta fortuna, qualcosa di gestione, parecchie cromature, senz'altro il vantaggio della semplicità. Ci si giocava ai tempi, nei lunghi pomeriggi azzurri e sprecati, tra studenti svogliati, universitari falliti, specialisti del cazzeggio, ragazzini malguidati. La prima versione è della Games Workshop e risale agli anni '80, e devo proprio averla giocata (ai tempi). Non so proprio perché mi è dovuto toccare di nuovo, due lunedì fa, di giocarlo in una versione assai modernizzata e migliorata nella grafica. Piuttosto di malavoglia, la mia parte l'ho fatta, un po' di impegno ce l'ho messo e mi sono spinto più avanti di tutti, fino al momento in cui il mio personaggio è schiattato alla penultima casella. Sfortuna volle così; ne ho approfittato per andarmene a dormire (era passata mezzanotte, e se la partita abbia poi avuto un vincitore lo ignoro).
Volete un consiglio? non giocate a Talisman.

domenica 22 maggio 2011

Lo scrittore inesistente

Non so se è vera questa storia, ma se lo è mi pare molto divertente. Un bello spaccato dei meccanismi con cui si creano i fenomeni mediatici, i successi a tavolino, la "visibilità" pubblica.
Mi riferisco al personaggio immaginario dello scrittore dell'anno, che (secondo questo articolo) avrebbe funzionato alla grande al Salone del Libro di Torino come bufala in grado di abbacinare tutti quanti, al punto che dicevano di averlo letto.

Qualcuno ne sa di più?

sabato 21 maggio 2011

Troyes

Gioco gestionale di ambientazione medievale, Troyes è una creazione di disegnatori francesi. I giocatori se la vedono attorno a una città, cercando di giostrare le loro risorse nei tre elementi chiave della società medievale: l'economico (che comprende una certa quantità di attività liberali ma anche il puro e semplice zappare la terra), il militare e il religioso.
Come molti giochi di questo genere bisogna "piazzare" i propri omini (che possiamo immaginare come lavoratori, guerrieri, o tante altre cose) negli edifici che generano attività, magari contendendosi il posto. Come si può vedere dall'immagine (presa dal sito boardgamegeek) c'è anche una gran quantità di dadi, che si tirano all'inizio del turno e poi si spendono per effettuare le azioni possibili.

Da notare che ciascun giocatore in teoria ha i "suoi" dadi (generati dagli uomini che ha piazzato nelle varie attività) divisi in gialli (economico) rossi (militare) e bianchi (religioso), ma al proprio turno può, pagando, usare anche quelli degli altri. Ciascuna attività, tipica dell'epoca, permette di ottenere una certa varietà di risultati partendo dal punteggio di questi dadi colorati. Alcune possono far meritare fama, la fama può far guadagnare quattrini, i quattrini si possono convertire in punti di vittoria... e così via con varie opportunità. E come in molti giochi del genere, c'è anche una cattedrale da costruire (fama e punti di vittoria a fiumi per chi fa avanzare i lavori, penalità per i poco volonterosi).

Oltre al lato costruttivo c'è anche una serie di problemi da affrontare, tra invasori, eretici, briganti e così via. Questi problemi sono rappresentati da un certo numero di carte che continuano ad avere effetto finché non si pone rimedio. Gli omini che si occupano di attività militare sono quindi molto sollecitati nel respingere questi attacchi. Ma, diversamente da un altro gioco che ho sperimentato recentemente (Rio de la Plata), i cattivi si limitano a creare degli svantaggi senza entrare in città a spaccare tutto.

I punti di vittoria si guadagnano attraverso una serie di diverse attività e ogni giocatore ha la "sua" carta personale con una formula che dà ulteriori bonus (validi per tutti), e ovviamente non conosce la carta degli altri. Troyes è un gioco dove si tirano un sacco di dadi ma la fortuna alla fine conta poco. La durata è calibrata per non andare a dormire troppo tardi e anche questa è una buona cosa.
Le attività disponibili possono cambiare a ogni partita ed è facile immaginare che azzeccando una giusta strategia e approfittando delle sinergie tra le varie possibilità che si aprono, un giocatore possa trovare la formula vincente, ma la variabilità delle attività disponibili garantisce la longevità del gioco. L'interazione tra i giocatori è "non violenta" ma importante, perché Troyes (tipicamente, come in molti gestionali) è tutto uno sgomitare per fregarsi a vicenda opportunità e risorse.

Insomma Troyes ricalca vie che di questi tempi sono molto comuni nei boardgames, ma lo fa in maniera interessante, rivelandosi, a mio parere, uno dei migliori giochi usciti di recente (è del 2010).
Me la sento di consigliarlo: tra l'altro è uscito anche nella nostra lingua.

lunedì 16 maggio 2011

Elric nel ventunesimo secolo - 2

Mentre la prima delle due classiche raccolte della saga di Elric narra del suo rapporto con la patria melniboneana e con la sua infelicità personale, e sfocia nella distruzione di Imrryr e nel vagare di Elric per il mondo, il secondo (Elric il Negromante) narra della lotta tra legge e caos e del coinvolgimento di Elric come pedina obbligata dal fato, una pedina in effetti estremamente importante per la soluzione di questa lotta.
Attenzione: le descrizioni che appaiono qui hanno senso per rinfrescare la memoria a chi ha già letto i libri: gli altri troveranno solo anticipazioni che rovineranno loro il piacere di leggere queste storie.

La Torre che Svaniva

Il libro narra della lotta di Theleb K'aarna, stregone di Pan Tang, contro Elric. A essere minacciata è l'eroina della legge Myshella, poiché i Kelmain, creature del caos, si sono messi al servizio di Theleb K'aarna. In questa lotta Elric, con l'amico Maldiluna che sarà da ora in poi spessissimo con lui, viene catturato, ma riesce a liberarsi e a tornare a fianco di Myshella.
Con una magia terribile la dama elimina tutti gli avversari: anche Theleb K'aarna, apparentemente, muore. Sembra che la paladina della legge voglia ricompensare gli sforzi di Elric concedendogli il suo amore, ma l'albino si schernisce dicendo che "non può avere quello che desidera, perché non esiste ed è morto," riferendosi al suo amore perduto, e dice che l'unica cosa che possiede è "rimorso, malvagità, odio." Una tonnellata di autocommiserazione per una scena decisamente sopra le rgihe.

In seguito Elric cerca la pace a Tanelorn, la misteriosa città che si trova in tutti i piani di esistenza e che offre un rifugio sicuro a quelli che si sono rifiutati di servire il caos. La sua pace dura poco, con un sotterfugio gli viene rubato l'anello Actorios, simbolo degli imperatori di Melniboné e significativo aiuto alla sua magia. Elric ha guidato i Regni Giovani alla distruzione di Imrryr, ma non vuole abbandonare questa vestigia di un impero che non esiste più.
E' re Urish, sovrano di Nadsokor (la ripugnante città dei mendicanti) ad aver portato a termine il colpo con l'aiuto di Theleb K'aarna, suo ospite.
Elric si ficca nei guai, viene ancora catturato e imprigionato, ma anche stavolta riesce a salvarsi, a recuperare la sua diabolica spada, ad affrontare ed eliminare addirittura una divinità (prigioniera di un labirinto come lui). Il mago di Pan Tang è sconfitto una volta di più, ma torna alla carica, ancora contro Tanelorn.
Dopo un'altra incursione in un diverso piano di esistenza, Elric riesce a salvare la città, ma Dama Myshella muore.
Il mio segnalibro, che ho ritrovato tra le pagine, era un biglietto del tram di un formato che avevo completamente dimenticato







La Maledizione della Spada Nera
In maniera molto poco caratteristica questo libro si apre con un Elric completamente diverso dal triste solitario che passa il tempo ad autocommiserarsi: qui è addirittura un predatore allegro e feroce, pronto a sfruttare un gruppo di mercanti che vuole assoldarlo per proteggere i loro affari eliminando un mercante (Nikorn) più in gamba di loro nella città di Bakshaan. Elric accetta perché il ricchissimo Nikorn ha al proprio servizio Theleb K'aarna. Cerca alleati e trova assistenza imprevedibilmente dai mercenari melniboneani di un gruppo formato da Dyvim Tvar, ex signore dei draghi e ora condottiero dopo la distruzione di Imrryr. Elric spiega i suoi motivi (la lotta contro il cugino usurpatore) e miracolosamente i melniboneani accettano di aiutarlo e mostrano addirittura rispetto per l'ex imperatore.
Nella lotta che segue Dyvim Tvar muore, come anche il mercante Nikorn: il secondo muore decisamente con rabbia poiché aveva misericordiosamente risparmiato Elric quando avrebbe potuto eliminarlo. Esce di scena finalmente anche Theleb K'aarna. Altro aborto di antagonista, se mi si permette il termine. Sarebbe stato uno stregone di discreta capacità, diventa un personaggio competente ma debole, anche se in maniera diversa da Elric: è geloso di una donna (Yishana, che lo manipola apertamente e ammira invece Elric, perfino quando la passione dell'albino verso di lei si è raffreddata) e motivato da questo odio patologico e dalla consueta sete di potere. La debolezza dello stregone non è ridicolizzata da Moorcock, ma viene vista tutto sommato con poca simpatia. Poiché l'azione è generalmente centrata su Elric, questo antagonista non ha comunque moltissime occasioni per esprimersi. Quelle poche le usa solo marginalmente meglio di Yyrkoon, il cugino di Elric abbozzato in maniera ancor più rudimentale.

Dopo questo conflitto Elric incontra la bella Zarozinia, una giovanissima in cerca di scorta e protezione per intraprendere un viaggio. Elric se ne innamora, vive altre avventure non eccessivamente memorabili e infine la sposa, vivendo finalmente in pace per qualche tempo e rinunciando all'aiuto della spada demoniaca.
La lotta torna a reclamare la presenza di Elric quando un'immensa orda, guidata da un condottiero (Terarn Gashtek) travolge Eshmir, la patria di Maldiluna, che aveva lasciato Elric per cercar fortuna da solo. E' proprio l'amico a sollecitare l'intervento dell'albino, che usa ancora i draghi di Melniboné (ora comandati da Dyvim Slorm, figlio di Dyvim Tvar) per sconfiggere l'orda. Elric cerca nuovamente di abbandonare la spada dopo un terrificante massacro.
Segue a completare questo libro un'avventura di Rackhir, dove Elric non compare.

Tempestosa
A Karlaak, dove Elric vive con la giovane moglie, sei demoni del caos riescono a infiltrarsi con mezzi magici. Sorprendono l'albino, non lo uccidono (potrebbero) ma rapiscono sua moglie. Elric risuscita con un rito negromantico uno dei demoni e ne ottiene una oscura profezia, che guiderà molte delle successive mosse.
Un nuovo mago, sempre di Pan Tang, ha assunto il comando di nuove forze, sempre del caos, e ha un alleato nei Regni Giovani, ma questa volta si tratta dello stato di Dharijor. L'avversario si chiama Jagreen Lern ed è tanto potente quanto insignificante. E' cattivo e arrogante, un classico cattivo insomma. Si muove con forze terrificanti, ora che il caos ha stravolto ogni equilibrio: sta cominciando a pervertirsi e corrompersi la stessa natura e c'è un'enorme moria di esseri viventi. Ma in realtà Jagreen Lern è solo la marionetta di queste forze che stanno completando un fato preordinato.

Una delle battaglie descritte in questo libro (quella in cui partecipano le forze della regina Yishana) è in verità molto bella. Dopo tutto scivola nella distruzione e nella corruzione. Elric diventa una marionetta non meno del suo avversario; è soccorso e consigliato da esseri prodigiosi chiamati Nihrain (e tirati fuori giusto per l'occasione, anche se sono descritti come antichi alleati dei Melniboneani), il cui capo Sepiriz ripetutamente interviene a dire quello che bisogna fare. Tra un alleato che sa tutto e un'oscura profezia da fare avverare, Elric vive alcune avventure strabilianti, talvolta anche ben scritte, ma il tema della storia è il fato, e lo si avverte molto nella narrazione. In pratica la storia procede su rotaie verso l'inevitabile finale, che Elric fondamentalmente accetta: evitare il trionfo del caos, far finire l'epoca attuale (e tutti gli uomini che vi vivono) per avere un nuovo inizio sotto il segno dell'equilibrio tra le forze (caos e legge).
Nella lotta Elric finisce anche per essere catturato. Questo è il pretesto per una brutta scena, in cui Jagreen Lern, come ogni buon cattivo da fumetto di serie B, fa legare Elric all'albero di una nave perché veda la disfatta dei suoi alleati, ma viene beffato quando l'albino chiama la spada e Tempestosa "vola" a liberarlo. Il mago di Pan Tang, che ha addirittura dato a Elric il beneficio di un incantesimo di protezione perché non venga ferito nella battaglia che sta per iniziare, non può bloccarlo mentre si libera. Questa poteva esserci risparmiata.

I personaggi muoiono a poco a poco nella terribile lotta: Dyvim Slorm, Yishana, Rackhir l'Arciere Rosso, la povera Zarozinia, e infine l'amico Maldiluna. Diversi di questi sono uccisi da Tempestosa, a volte sacrificandosi di propria volontà nella consapevolezza che il mondo sta terminando.
Alla fine Elric suonerà il Corno del fato, bandirà i duchi del caos e si prenderà un po' di sano divertimento torturando a morte Jagreen Lern. Infine suggellerà il passaggio alla nuova era, dove non ci sarà posto nemmeno per lui. Sepiriz gli ha spiegato che questi cicli si ripercorrono nel tempo e nelle varie dimensioni, e che Elric avrà di nuovo lo stesso ruolo nel futuro e in altri mondi, ma non c'è un perché, una spiegazione razionale a tutto questo. E per Elric è il momento di uscire di scena.
A farla finita con l'eroe albino ci penserà, come saprete, la sua stessa spada demoniaca.

Passiamo quindi a fare alcune riflessioni:

Il personaggio di Elric
Nelle parole di Moorcock, Elric assomiglia molto al suo autore in un certo periodo della sua vita, sotto l'influsso di una "tragica storia d'amore" che lo aveva reso irascibile, cinico e vendicativo. Aspetti come ad esempio quel suo essere incapace di prendere decisioni come si vede soprattutto all'inizio della saga, per la scarsa fede in se stesso e negli altri che gli impedisce di attribuire la ragione o il torto a qualsiasi cosa, per quel cercare il motivo del proprio esistere e uno scopo nella vita (domande che tutti noi, quando siamo a posto, sappiamo essere i tormentoni inutili dei depressi, dei morti in piedi, di chi si lambicca in dilemmi insensati). Elric è personaggio dalla spiccata umanità e dalle umane debolezze, ma non è "buono," è capace di feroci vendette e di passioni pericolose, e di grandi stupidaggini. Moorcock ha creato l'antieroe, l'antitesi ai classici personaggi tolkieniani e ai miti della sword and sorcery (alla seconda in realtà la saga finisce per pagare omaggio, mentre di Tolkien Moorcock è critico feroce). Dobbiamo tener presente che Moorcock aveva influenze molto "anni sessanta" ed era molto antiautoritario e iconoclasta. Da qui vengono le sue opinioni apertamente offensive nei confronti di autori che a mio parere non se le meritano, come Tolkien o Lovecraft.

Questo può spingerci a farci delle domande però anche sul suo personaggio. Elric nella seconda metà della saga è un eroe che accetta stoicamente un destino infame, ma inizia la storia come "uno che ha dei problemi," aspetto che forse poteva suscitare solidarietà in una certa epoca, mentre ne suscita assai meno oggi. E' un aspetto del "superamento" di questo personaggio, diventato oggi (prendendo la frase di Viviani) un "minorato mentale?"
O forse è uno stimolo a non chiuderci nei cortocircuiti mentali dei nostri anni cupi e difficili? Non ho una risposta certa e non voglio spostare troppo il discorso su temi che esulano eccessivamente dal contenuto della saga.

Posso dire che leggendo la saga oggi, non faccio sconti su certi aspetti del personaggio (aspetti che in realtà avevo generalmente notato anche da ragazzo). Elric ha continue contraddizioni, qualcuna giustificabile altre meno, e fra queste le più fastidiose sono quando tira fuori il lignaggio imperiale e la fierezza melniboneana mentre è stato lui a distruggere tutto questo. Elric fa quel cavolo che vuole come se fosse una rockstar, e Moorcock gli fa fare delle idiozie (mettere Yyrkoon a fare il reggente) per mandare la storia nella direzione che vuole. Gli mette in bocca discorsi impegnati per sostanziare la pretesa di saper parlare di temi profondi, virtù che concederei allo scrittore britannico in misura piuttosto limitata. Lo fa finire sopra le righe con frasi un po' ridicole come: "Muoio. Bene, credo che non m'importi." Elric in effetti è una Mary Sue tremenda, una scommessa azzardatissima da parte del suo autore. Imperatore di una razza arrogante, superiore a quella umana, capace di mettersi in contatto con diverse divinità e di chiamarle in aiuto, bello ma separato anche dalla sua razza per via di un ulteriore marchio di distinzione, quello dell'albinismo, sconcertante per gli occhi rossi e per la ferocia che può improvvisamente scatenare, portatore di una spada che beve le anime. E allo stesso tempo debole nel corpo (costretto a usare le pozioni o la spada per potersi reggere in piedi) e fragile nello spirito, tutto il contrario dei classici eroi fantasy. E' il contrario di un eroe classico, ma nello stesso modo è privilegiato da una montagna di trati che lo separano dal comune mortale.

In effetti Elric cammina su un filo, in bilico tra l'affascinare il lettore e l'essere liquidato con una risata. Me ne rendo conto oggi, non me ne ero reso conto da ragazzo; ma questo rende anche più significativo il suo successo. Inoltre l'albino è l'unico "pezzo" veramente forte della saga, dove il palcoscenico è solo per lui: questo deve dare la misura di come sia stato un parto brillante del suo autore.
Anche ammettendo che Elric sarebbe stato poco adatto a "sfondare" ai giorni nostri, ipotesi che non si può verificare, è comunque divenuto un classico che riesce a interessare anche i giovani e non solo un culto di nostalgici. Si può odiare questo personaggio ma non negare che abbia strappato un posto nell'immaginario, da cui non scomparirà facilmente.

Cosa c'è oltre a Elric in questa saga?
Non sono un grande ammiratore di Moorcock pur ammettendo che ha scritto alcune cose egregie, anche oltre la saga di Elric. Ha un bel mestiere, ma è discontinuo, ed essendo un autore focalizzato sulla trama, cura le ambientazioni in ottica strettamente utilitaristica. Il mondo dei Regni Giovani è cresciuto in maniera da risultare vivo e affascinante, tuttavia in molti punti del percorso il lettore sarà sconcertato dal vedere riassumere tutta una nazione con descrizioni di poche righe estremamente generiche. Si salvano un po', ovviamente, i luoghi dove si svolge qualche azione particolarmente importante. Quando Elric fa un salto in un altro piano per una delle sue missioni, l'impressione a mio parere è spiacevole, come se il mondo fantastico ideato dall'autore sia come una carta velina tirata fin quasi al punto di stracciarsi.

I personaggi del resto non sono meglio curati, in linea di massima. Ho già espresso la mia insoddisfazione per il personaggio di Yyrkoon, e implicitamente già fatto notare che i due cattivi Theleb K'aarna e Jagreen Lern sono poco ispirati e simili fra loro. Moorcock sembra non volere un cattivo di un certo spessore, e credo di indovinare ipotizzando che non desideri alcuna ombra sul suo eroe che regge tutta la scena. Il dio Arioch, con la sua ambiguità e pericolosità, è un personaggio superbo, ma come divinità non può scendere direttamente in campo contro il suo prediletto che lo ha tradito. Forse è per questo che Moorcock gli ha concesso tanta attenzione nel disegnarne i tratti.
Quanto agli amici e ai... neutrali, non mi lamento di Maldiluna, personaggio che deve solo far da spalla e lo fa egregiamente, ma i vari melniboneani nobili e non (Dyvim Tvar, Magum Colim, Ossastorte...) avrebbero forse meritato qualche dettaglio in più. Purtroppo l'economia spietata di Moorcock dedica loro solo le pennellate minime per farli funzionare. Sono poco dettagliate, anche se già più appassionate e vibranti, le due donne amate, Cymoril e Zarozinia, ma io non posso fare a meno di pensare che siano una la fotocopia dell'altra. Interessantissime altre due donne, Myshella e Yishana, ma... i riflettori si posano su di loro abbastanza sporadicamente.

Quanto alla trama, in alcuni momenti riesce ad appassionare, in altri crolla pericolosamente sotto il livello di guardia. Ci sono senz'alro troppe occasioni in cui Elric deve semplicemente andare in un certo posto a fare una certa cosa, come recuperare un oggetto o ammazzare una certa persona, non per una vera connessione con la storia ma semplicemente perché è un passaggio indispensabile per qualche motivo oscuro. All'inizio la sfida tra l'usurpatore Yyrkoon ed Elric sarebbe appassionante ma ci sono alcune "tare comportamentali" dell'eroe albino a rovinare un po' le cose, come abbiamo visto.
Sui Mari del Fato contiene alcune rivelazioni importanti per lo svolgimento generale della trama ma è il libro meno riuscito dei sei. La rivincita di Elric contro la propria patria ovviamente è un picco d'interesse che risolleva la saga, con la distruzione di Imrryr, la morte di Cymoril e il protagonista costretto a voltare pagina.
La lotta di Theleb K'aarna contro Elric e contro i suoi vari alleati tra cui gli abitanti di Tanelorn è interessante, anche se presenta un'altra "falla" logica che non mi piace, i mercenari di Dyvim Tvar che accettano di collaborare con Elric.
Quando entra in scena Jagreen Lern la lotta diventa guidata dal fato e dalle mosse degli dei, con la profezia da avverare e l'arrivo di un personaggio totalmente deus ex machina come Sepiriz, che spiega a Elric a che punto siamo e cosa deve fare adesso, e gli dà a volte anche aiuti pratici e suggerimenti. Moorcock non aveva voglia, temo. Sapeva che doveva andare a terminare la saga in un'apocalisse, e come in certe altre parti tutto ciò che sta a lato è un contorno affrettato e semplicistico, forse salvato da un'abile mano in certe descrizioni. Si salva la solennità, l'aspetto "Heroic Fantasy" della lotta condannata di Elric, ma è un tramonto un po' in declino, anche se il finale mi ha sempre emozionato.

Conclusione
Di fatto la saga di Elric è un'enorme scommessa sul personaggio. Il resto non è di qualità sempre eccelsa e certe pretese intellettualistiche di Moorcock lasciano il tempo che trovano, adesso come allora. Va comunque concesso che nei contenuti vi è una dimensione letteraria e una qualità, quando c'è, che va ben oltre certi libri fantasy di oggi tanto osannati, e scritti seguendo le regolette. Certi aspetti sbrigativi dello scrivere di Moorcock ci prendono un po' in giro, ma nel complesso c'è sostanza e c'è arte: mica per niente pur avendo accarezzato l'idea di farlo, non riescono a cavarne fuori un film per la Hollywood di oggi.

La prima parte di questo articolo si trova qui.

sabato 7 maggio 2011

Elric nel ventunesimo secolo - 1

Provi a leggere oggi Michael Moorcock e se le succede come è capitato a me, si chiederà: “ma come poteva piacermi questo Elric di Melnibonè?” (Gianfranco Viviani)

Su Moorcock e sul suo più famoso ciclo di storie la pulce nell'orecchio me l'ha messa la risposta che Gianfranco Viviani (ex patron dell'Editrice Nord) diede alla mia domanda su Fantasy Magazine nell'intervista del 2009: a parte alcune affermazioni di valore puramente commerciale, come quella sui nuovi autori che sarebbero interessanti oggi, Viviani lanciava più di una frecciata ai grandi miti del fantasy di una volta. "E' passata un'epoca e quello che una volta affascinava, oggi fa solo sorridere."
Viviani non risparmiava critiche anche forti a Elric di Melniboné, il grande eroe di Moorcock, dandogli appellativi non proprio lusinghieri. Elric non sa chi è, non sa cosa deve fare, sembra un minorato mentale.

Non ho certo intenzione di ribattere (dopo anni!) alle affermazioni di questo celebre personaggio del fantastico (ci fu comunque un po' di maretta intorno all'intervista, anche sul forum di FM). Ovviamente non sono d'accordo con qualsiasi affermazione che liquidi questa saga così facilmente, ma ho colto la provocazione per rileggere Elric, perché anche io mi ero chiesto se avrei giudicato quel ciclo così interessante, oggi come oggi, e se era tutta gloria quella del buon Moorcock.

Quindi ho riletto i libri, i sei classici, per intenderci quelli raccolti dalla Nord nei volumi Elric di Melniboné e Elric il Negromante. Lasciamo un velo pietoso sulla ripresa successiva di Elric da parte dell'autore.
Non ho potuto fare a meno di notare per prima cosa lo stile. L'uso del narratore onnisciente, frequenti eccezioni alla regola dello show don't tell (che non è un dogma, ma resta preferibile secondo me in una storia come questa) uno stile talvolta descrittivo e ridondante ma più spesso asciutto o addirittura scarno, sbrigativo. Dove Moorcock è nella vena migliore, è molto bravo. Ma credo che nella sua vasta produzione (di cui qualcosa ho letto) ci siano lavori accurati e altri, oserei dire, piuttosto tirati via.
Esaminiamo quindi la saga di Elric percorrendone le tappe (le descrizioni che appaiono qui hanno senso per rinfrescare la memoria a chi ha già letto i libri: gli altri troveranno solo anticipazioni che rovineranno loro il piacere di leggere queste storie).

Nella foto: la mia copia di Elric di Melniboné, acquistata per 5.000 lire nel 1985. Mi procurai anche Elric il Negromante in quel periodo, ma mi fu in seguito sottratto da un disgraziato che non restituì né il libro né del denaro che gli avevo dato, pertanto dovetti ricomprarlo nella versione a copertina morbida degli anni '90.


Elric di Melniboné
La storia comincia da Elric. Fin dalla prima parte (intitolata Elric di Melniboné come il libro, che in effetti è una raccolta) il riflettore è puntato sul protagonista, sui suoi dubbi morali e filosofici riguardo all'uso del potere, sul suo essere "troppo umano" e soprattutto diverso da quella razza sovrannaturale da cui proviene, i Melniboneani. Il contrasto viene mostrato con forza perché Yyrkoon, il cugino arrogante e prepotente, affronta subito rozzamente Elric senza far mistero di voler usurpare il trono. L'imperatore albino sa di essere di fronte a una minaccia mortale ma ritiene di essere più "forte" non seguendo la logica del suo popolo (che sistemerebbe subito tutto uccidendo il rivale). Concederebbe una vittoria a Yyrkoon, in un certo senso, se lo uccidesse, perché diventerebbe come lui.


Peraltro Elric non si illude di cambiare il mondo: "non desiderava riformare Melniboné, ma se stesso."
La prima scena di azione giunge abbastanza presto, prima però abbiamo la cavalcata del protagonista con la promessa sposa Cymoril (sorella di Yyrkoon) e l'interrogatorio delle spie, che dovrebbero guidare un'incursione dei nemici provenienti dai Regni Giovani. Il dottor Scherzo, torturatore, è un personaggio certamente di una certa efficacia.
L'incursione sposta l'attenzione sul porto dei Melniboneani a Imrryr: è difeso da un labirinto attraverso cui i visitatori vengono guidati da un equipaggio del posto e tenuti bendati, a mio modesto parere un'idea molto poco pratica. Da ragazzo mi era piaciuta già poco, rileggendo oggi mi sembra una fantasia piuttosto grossolana e tutto sommato un po' infantile.

Come chiunque abbia letto la serie sa già, nella battaglia con i barbari dei Regni Giovani Yyrkoon crede di risolvere i problemi a suo modo approfittando della debolezza di Elric per buttarlo in acqua. Ma Elric si salva per intervento di Straasha, il dio del mare, e prende a sua volta prigioniero Yyrkoon. Annuncia una nuova era: si vendicherà come si deve su Yyrkoon e sul capitano delle guardie che ha collaborato con lui, ma nel diventare crudele si sente prigioniero del trono di rubino su cui siede. Yyrkoon se la cava: usa la magia della nebbia gemente (incantesimo descritto molto bene) per fuggire, e rapisce Cymoril.
Elric si maledice per non essersi preoccupato della sicurezza di lei: sembra rinsavito, ma in futuro lo farà ancora. Con l'aiuto di Arioch, duca del caos, insegue l'avversario nel paese di Oin e Yu, dove un'altra potente magia, lo Specchio della Memoria, impedisce che la presenza del traditore sia rivelata. Usando la nave di Straasha che può viaggiare sulla terra Elric aggira lo specchio e costringe Yyrkoon a fuggire ancora (nella Porta d'Ombra) lasciando Cymoril addormentata in un sonno drogato. Elric ottiene da Arioch di poter inseguire il cugino e lottare con lui, facendo uso delle spade maledette (Tempestosa e la sua gemella): il fato comincia a prendere forma, perché da qui non si tornerà indietro. Elric ha messo in moto delle forze che cambieranno gli equilibri del mondo e lo condanneranno a diventare "campione di una causa ignota," spinto dal fato e dagli dei.

Qui Elric incontra anche per la prima volta Rackhir l'Arciere Rosso, eroe esiliato che ha rifiutato di servire il caos. Dopo varie peripezie, Yyrkoon alla fine è sconfitto, alla mercé di Elric, e si accontenterebbe di essere ucciso con un'arma diversa da Tempestosa, perché la lama stregata beve le anime. Ma Elric gli chiede: "Se avessi tutto ciò che desideri, smetteresti di essere un verme?"
L'imperatore albino scioccamente crede che Yyrkoon possa migliorare. E desidera viaggiare, conoscere i Regni Giovani e il mondo fuori da Melniboné. Poiché Cymoril non vuole regnare, Elric non la fa regina: rimanda il matrimonio e parte lo stesso, in cerca di una nuova patria che sia più in sintonia con il suo spirito. Si prende il suo "anno sabbatico" e parte, avendo la bella idea di lasciare la reggenza proprio a Yyrkoon.

Questa l'ho giudicata una debolezza della trama quando ho letto il libro da ragazzo e la giudico ancora più severamente adesso, qualsiasi cosa si possa dire della natura del personaggio di Elric per giustificarne le azioni. C'è di mezzo la felicità e la vita della donna che ama, non solo il trono di rubino verso cui Elric esprime spesso un distacco sprezzante (pur senza lasciarlo!). Non esser capace di vendicarsi su Yyrkoon è un conto, ma lasciare Cymoril in pericolo è una mossa esageratamente idiota.

Sui Mari Del Fato
Il secondo libro, Sui Mari del Fato, ci porta nei Regni Giovani dove Elric, albino e melniboneano, non riesce a fare amicizia con nessuno e a superare il muro della diffidenza (che strano, eh?). Addio all'idea di trovare una nuova patria e gente con cui convivere. Finisce per ritrovarsi a bordo di una nave che attraverso gli oceani naviga misteriosamente su altri mondi, e compie una delle sue missioni come "Campione Eterno" ponendo fine alle ambizioni di due strani stregoni, Agak e Gagak, fratello e sorella, che stanno per assorbire nientemeno che la forza vitale dell'universo.

In questo libro ci sono dei bei personaggi come il Conte Smiorgan, e belle storie come quella della leggenda di Saxif d'Aan, ma l'insieme non si salva.
Provo a spiegare il mio punto di vista. E' sempre problematico quando in una storia il protagonista deve fare un salto "in un'altra dimensione." Il lettore ha familiarizzato con l'ambientazione di un libro, ma improvvisamente viene strappato e portato via, verso un nuovo luogo con nuove regole, nuove atmosfere, ma non c'è lo spazio per approfondire. L'autore quando sceglie questa via non può che pescare qualche particolare e descriverlo alla meglio, e di solito il risultato è una bruttura che sa di posticcio e raffazzonato. I due stregoni che sembrano edifici senzienti mi hanno fatto poca impressione all'epoca della prima lettura, adesso mi fanno decisamente cascare le braccia. Per me qui non c'è "sense of wonder" ma solo ridicolo.
Moorcock aveva ideato il concetto di Campione Eterno come espediente per portare i suoi eroi in qualsiasi avventura e in qualsiasi luogo, con la massima libertà, facendo incontrare tra loro personaggi provenienti da storie e mondi diversi. Un comodo espediente che fa abbastanza a pugni con il fantasy di oggi, dove è abbastanza uniforme l'uso di radicare bene la trama in un'ambientazione. L'autore britannico ha affermato di essere più interessato alle storie che non alle ambientazioni, e questo si vede anche nella saga di Elric, in cui il mondo è tutto sommato vivo e ben riuscito, ma spesso delineato con pochi dettagli. Sui Mari del Fato contiene molta avventura fine a sé stessa e l'ho trovato una parte assai debole della saga di Elric.

Continuiamo. L'esplorazione della mitica città di R'lin K'ren A'a da cui sarebbero provenuti i Melniboneani attira Elric, che vorrebbe spiegarsi la propria identità. Il viaggio non porta il risultato sperato, ma ha un'altra conseguenza grave. Arioch ha avvertito Elric che l'Uomo di Giada, simulacro del dio rimasto nella città, vi deve rimanere. Eppure farlo andar via è l'unico sistema per permettere a un individuo trovato là, l'uomo condannato a vivere, di terminare la propria esistenza. L'antichissima città è stata sede dell'accordo tra gli dei che ha permesso al mondo di restare in equilibrio fra legge e caos, e l'uomo condannato a vivere è praticamente l'unico antenato dei Melniboneani che rifiutò i premi concessi allora al suo popolo per abbandonare il luogo.
Ormai egli desidera solo la morte, avendo vissuto in solitudine per diecimila anni.
Elric deciderà di concedere la morte a quel disgraziato forzando Arioch a lasciare la città, pur sapendo che con questo inizierà la lotta dei mondi superiori e non vi sarà più pace. Elric fa qui un'altra delle sue scelte disastrose, tuttavia in parte è giustificato: l'uscita dell'Uomo di Giada dalla città serve a creare un diversivo per permettere la fuga a lui e Smiorgan, che sono assediati da creature ostili.
Per invocare Arioch l'albino ha scatenato un'altro imprevisto che si ripeterà spesso, uccidendo un marinaio e Avan (che aveva condotto la spedizione) a causa di un movimento spontaneo di Tempestosa.

Il Fato del Lupo Bianco
Il terzo libro inizia con un episodio che presenta un'eroina della legge, Myshella la Dama Tenebrosa, e un antico eroe, il Conte Aubec, in lotta per espandere il dominio della sua signora. Dopo questo episodio, che cito perché è ben scritto (e perché il personaggio di Myshella tornerà), l'azione si sposta su Elric, che raduna una flotta tra i potenti dei Regni Giovani allo scopo di sconfiggere Yyrkoon l'usurpatore, e soprattutto di liberare Cymoril dormiente, ancora stregata dal malvagio fratello.
L'imperatore albino compie una ricognizione prima dell'attacco e ha uno scontro con le guardie. Non uccide Yyrkoon anche se dalla scena sembra che potrebbe farlo (l'usurpatore è alle prese nientemeno che con Arioch), ma stavolta la renitenza di Elric si spiega con l'incantesimo su Cymoril, che sarà difficile da sciogliere senza l'aiuto dello stesso Yyrkoon.

Segue la maestosa scena del sacco di Imrryr e l'ultimo duello con Yyrkoon. Elric è furioso nella lotta quanto era stato impulsivo, debole e sciocco lasciando il cugino sul trono. Non riesce a salvare la sua donna anche se non ne causa volutamente la morte: Cymoril viene spinta da Yyrkoon sulla lama di Tempestosa e muore.

Yyrkoon nell'ultimo scontro è praticamente un pazzoide, non parla, lascia totalmente la scena a Elric e alla tragedia che sta per avere luogo. E' un personaggio che ha sempre avuto poco da dire, Moorcock lo ha presentato come il classico arrogante melniboneano e non lo ha mai sviluppato. Ha sicuramente perso un'occasione, ma vedremo che sarà sempre così: Elric non ha mai degli avversari epici o degni di questo nome, se non contiamo le divinità che comunque non lo attaccano direttamente. L'unica forza contro cui si scontra veramente è la propria debolezza, e ovviamente il suo nemico è il fato, più che un personaggio in particolare.

I draghi guidati dai melniboneani inseguono la flotta dei Regni Giovani carica di bottino, in fuga da Imrryr devastata. Le navi sembrano condannate ed Elric se la cava con un atto vigliacco che giustifica (malamente) con la volontà di non morire per mano di quelli della sua stessa razza, anche se non ama la vita. La sua magia salva una sola nave, quella che porta in salvo lui stesso. Tutti gli altri pirati e incursori dei Regni Giovani sono sterminati dai draghi.

Uscito vivo ma senza la sua amata da quest'avventura, Elric si imbarca in un'altra cerca (il Libro degli Dei Morti). Qui prende maggior forma il discorso su legge e caos, due forze fondamentalmente aliene nelle loro motivazioni ma che più tardi nella saga prendono una coloritura più manichea (e il caos viene definito esplicitamente malvagio). In realtà queste forze devono coesistere perché via sia una realtà con qualche significato (e che sia vivibile per l'uomo). Come parere personale, non ho mai amato legge e caos né nei libri né nel gioco di ruolo dove purtroppo hanno pesantemente sconfinato. Però il manicheismo di tanto fantasy, con tutta la sua alluvione di male assoluto, lo amo anche meno. Nella saga di Elric tuttavia va detto che l'insensatezza del destino è uno dei cardini della trama, quindi legge e caos vanno benissimo.

In questa ultima avventura Elric mette mano sul Libro con la verità assoluta e, ovviamente, il tomo non è più leggibile. Conosce anche la potente Yishana di Jharkor verso cui nutre una lussuria poco colorata d'amore, e il mago Theleb K'aarna che invece ama Yishana fino a esserne succube, e quindi odierà Elric. Infine, l'eroe riceve una rivelazione da parte di Arioch: la lotta per il controllo del mondo sta iniziando, e il fato di Elric è di diventare una pedina in una battaglia eterna.

Qui finisce la prima parte di questo articolo, che continua in una seconda parte con la conclusione.


Nota: trovate qui l'elenco dei libri che costituiscono la saga di Elric.

domenica 1 maggio 2011

La Minaccia di Taytos

Questa non è una vera e propria recensione, perché non ho letto tutto il libro. Mi sembra una premessa doverosa. Arrivato a circa una novantina di pagine ho ritenuto di essermi fatto una mia opinione e non ho voluto proseguire, limitandomi a scorrere velocemente il resto. Pertanto non posso sapere se esiste qualche colpo di scena o evoluzione della trama nel finale, tali da modificare in parte il mio giudizio. Per la critica che rivolgerò, e che resta comunque un'opinione personale, basta quanto ho letto.

Si tratta di La Minaccia di Taytos, libro d'esordio di Paolo Danese, edito da Montag. E' un libro fantasy che non presenta, fin dove l'ho letto, alcuna particolare sorpresa per quanto riguarda la trama. Un ragazzo, figlio di un nobile, sfugge alla strage della sua famiglia e viene protetto da diversi personaggi che si sforzano di portarlo al sicuro, attraversando l'isola di Siskail che è diventata piena di insidie. Tra le forze in campo abbiamo un ordine religioso, i Giusti, e una congrega di usurpatori, malfattori e seguaci delle Arti Arcane, nemici dei Giusti per via di una contesa che risale a parecchio tempo addietro. Ma dietro ai pericoli del giovane Boren (il protagonista) si cela un'identità da scoprire, e dietro ai nemici che lo insidiano una minaccia ben più pericolosa: Taytos, nome che compare nel titolo, è un luogo dove si trova una voragine o crepa da cui può scaturire qualcosa di molto più micidiale di una cospirazione di usurpatori e di assassini.

Il fatto che la trama non brilli per originalità almeno fin dove ho letto io non è di per sé un problema, visto che spesso in un libro conta più il "come" si racconta che non il "cosa" si racconta.
Purtroppo qui abbiamo i problemi più seri, perché non ci sono personaggi memorabili o situazioni che riescano veramente a calamitare l'attenzione; e nonostante il testo sia fondamentalmente corretto dal punto di vista formale la prosa di questo libro è spesso ostica, poco scorrevole, e qualche volta confonde il lettore. Inoltre capitano situazioni in cui dialoghi e scene sono descritti in maniera indiretta, perdendo vivacità e immediatezza. Sia ben chiaro che non sono un dogmatico dello Show don't Tell, ma qui mi son trovato a  pensare più di una volta che il "mostralo con una scena!" non sia comunque un consiglio da sottovalutare.

Per fare un brevissimo esempio di quello che a mio parere funziona poco, guardiamo una frase: Col sole alto in cielo, X continuava a provare a seguire le tracce di Boren, ma erano pronti a desistere.

(X l'ho messo io al posto del nome vero di un personaggio che sta cercando il protagonista Boren).
Qui non c'è un vero e proprio errore, nel cambiare repentinamente la persona del verbo, perché il lettore sa già che X non è da solo ma fa parte di un gruppo. Usare un narratore onnisciente che cambia a piacere punto di vista non è reato, peraltro, purché fatto bene. Ma questo repentino cambiamento impone una fatica in più al lettore per seguire quello che succede, anche perché il soggetto di "erano pronti a desistere" resta implicito. Notare che la frase seguente è ancora al plurale, poi si torna al singolare, di nuovo senza mettere i soggetti. Nulla di micidiale, ma tante piccole cose come questa mi hanno reso la lettura poco piacevole, pesante e noiosa, e infine mi hanno fatto desistere.

La mia conclusione è che non sia stato svolto un lavoro di editing appropriato. La casa editrice opera a doppio binario, quindi è possibile che questa sia una pubblicazione a pagamento in cui tale servizio non è stato offerto. Pubblicare a pagamento, contrariamente a quanto qualcuno sembra credere, non è un pecato mortale.
Ma è sbagliato non provvedere come si deve (di chiunque sia la responsabilità o la decisione) a questo passaggio, fondamentale per produrre un buon testo. L'ambiente è affollatissimo e le possibilità di emergere tremendamente scarse, anche per chi si presenta con un lavoro impeccabile. Un esordio affrettato e prematuro, per quanto io comunque auguri all'autore il meglio possibile, rischia quindi di avere ben poche possibilità.