domenica 23 ottobre 2011

Il Colore della Magia

Confesso: non avevo letto nulla di Terry Pratchett a parte spizzichi e bocconi. Il prolifico autore inglese, noto per esser stato nominato cavaliere dalla corona e (purtroppo) per la battaglia contro l'Alzheimer che salvo miracoli lo vedrà presto soccombente (probabilmente con un'uscita di scena dignitosa e volontaria in anticipo sul decorso della malattia), sarebbe uno dei pochi a esser riuscito a coniugare comicità e fantasy, due ingredienti difficili da conciliare.
Sul successo di pubblico non c'è alcun dubbio, quanto a me volevo verificare se davvero è così divertente. Così ho letto (dall'inglese) il primo libro della serie del Mondo Disco. Un mondo piuttosto particolare, a forma di disco come dice il nome, sostenuto da quattro (mi sembra) elefanti che a loro volta poggiano sul dorso di una tartaruga gigantesca che nuota nel cosmo. Con questo immagino che l'autore abbia voluto ridicolizzare le leggende sull'origine o sulla natura del mondo dei popoli primitivi, ma qui il tutto è inteso in maniera concreta e letterale, tanto che l'acqua degli oceani cade giù dal bordo.

Il Colore della Magia ci porta, avrei potuto scommetterlo, in una metropoli decadente, fetida e corrotta dal nome di Ankh Morpork, dove si presenta uno strano turista ricchissimo, Twoflower, che nella versione italiana diventa Duefiori. Questo ingenuo personaggio, che mostra subito di possedere troppi soldi e di non aver compreso la pericolosità del posto, si fa seguire da un baule di bagagli, dotato di piedi e molto pugnace quando necessario. Si incaricherà di far da guida a Twoflower il cinico Rincewind (Scuotivento), mago incompetente e poco coraggioso.
Il problema è che l'umorismo di questo libro spesso è del tipo britannico. Più arguzia e ironia che risate vere e proprie. Lo stesso ho verificato nella Guida Galattica per gli Autostoppisti, che ho amato di più molto probabilmente per aver letto i primi tre libri nella traduzione italiana, truce e sguaiata al punto giusto, e che m'è scesa di tono quando ho letto Addio, e Grazie per Tutto il Pesce in lingua originale.
Ad esempio, quando Rincewind osserva dei pesci che vivono vicino al bordo del disco nutrendosi di tutto ciò di commestibile che viene trascinato verso il bordo per cadere, si chiede come dev'essere vivere nuotando faticosamente per restare sempre nello stesso posto (ed evitare di cadere nel nulla), e conclude che la vita di quei pesci è molto simile ai suoi travagli personali. Arguta, simpatica osservazione, ma non mi fa ridere.
Comunque la lettura è stata ugualmente piacevole e deliziosa in alcuni punti. Continuo a pensare che il fantasy sia nato per essere un po' più solenne, e se fa ridere lo fa soprattutto in modo involontario, ma Pratchett è riuscito in un'impresa difficile.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Praticamente costretto a leggerlo dopo anni di insulti da amici per questa mia mancanza mi sono apprestato anche io qualche anno fa nella lettura della prima trilogia...
Anche a me non ha colpito, ne riconosco l'ingegno ma non è riuscita ad interessarmi abbastanza per continuare, non mi faceva ridere e andava avanti troppo lentamente fino a quando l'ho abbandonata a metà dopo un libro e mezzo.
Dicono tutti che è la sua produzione meno divertente, ma sicuramente come te condivido l'idea che il fantasy sia una cosa seria....
Illoca

Bruno ha detto...

@ Illoca: allora dovrò fare uno sforzo, perché sono solo al primo libro. Ma non è che non mi piaccia per niente, è che ho tante altre cose da leggere...