lunedì 30 gennaio 2017

The Dice Man

Questo è un libro di un sacco di anni fa. Nemmeno inerente il fantastico, in effetti. The Dice Man, scritto agli inizi degli anni '70 da George Cockcroft (esce nel 1971 sotto lo pseudonimo Luke Rhinehart, viene tradotto in italiano dopo qualche anno con il titolo L'Uomo Dado e ora L'Uomo dei Dadi), è un'opera di rottura, spregiudicata e originale, ricca di ironia e di provocazioni. Non vi manca un umorismo a volte travolgente.

Per capirla bisogna avere un minimo di capacità di immaginare l'ambiente culturale degli anni '70 e voler macinare qualche termine di psicanalese, perché è qui che inizialmente andiamo a parare. Fatti i necessari sforzi di "contestualizzazione," la storia parte in una maniera tutt'altro che sorprendente: Luke è uno psicanalista con un certo successo, e le persone che frequenta (oltre alla moglie e ai due figli) sono anch'esse psicanalisti: il noiosissimo e prevedibile Jacob Ecstein sposato con la bella Arlene, il dottor Mann, analista di controllo di Luke e personaggio dallo stile e dai modi assai discutibili quando si ingozza al ristorante, l'italiana dottoressa Felloni, che ci viene mostrata come una specie di legnosa zitella che in maniera comica e incongrua parla di perversioni sessuali e organi genitali a ruota libera. Tra queste persone e Luke vi è una amicizia basata sullo svolgere la stessa professione ma allo stesso tempo un sacco di rivalità, palese o sotto traccia.

Luke è in crisi: non riesce a terminare un libro che aveva annunciato già da tempo, è sfiduciato, ritiene che quello che stava scrivendo fosse insignificante, e invidia un po' i successi di Jacob. Ogni idea di recuperare sul lavoro è fuori luogo in quanto Luke è depresso, non si ritrova più nel suo ruolo, ritiene di aver fallito nella missione di restituire felicità e libertà alla vita delle persone. Sia lui, individualmente, che la psicanalisi come teoria.


Così, in occasione di una partita a poker, anch'essa una ritrita abitudine portata avanti con gli amici, Luke disperato per la propria situazione esistenziale decide di affidare una decisione pazzesca (prendere, se necessario di forza, la bella Arlene) a un lancio del dado. E poiché il dado dice di farlo, si impone di seguirne l'indicazione. La faccenda non si rivela così pericolosa in quanto la donna, annoiata a morte dal marito al quale comunque nemmeno interessano i piaceri coniugali, praticamente non aspettava altro. Ma da qui parte la nuova filosofia di vita di Luke: abbandonare i ruoli, le convenzioni, i doveri, e affidare completamente al caso (al lancio dei dadi) il proprio comportamento.

A questa sorprendente decisione Luke fornisce una struttura e delle regole, ovviamente. Non deve inserire nelle opzioni possibili cose che poi assolutamente non farebbe. Ma quello che mette, anche se concede poche possibilità che esca fuori con il tiro, va fatto se la sorte così decide. E devono esserci delle decisioni che mettano alla prova, che facciano uscire dalle tranquille abitudini rassicuranti (questo è proprio uno degli scopi del "dice man," essere diversi tipi di persona in diversi momenti, per ampliare le proprie esperienze e la propria consapevolezza). Ruoli mai ricoperti, esperienze di cui si è curiosi ma che non si sono mai fatte, imprese pericolose per un verso o per l'altro, o imbarazzanti, che si farebbero molto malvolentieri.

Ovviamente Luke destina se stesso a una specie di suicidio sociale, facendo così. Anche se ci saranno occasioni di spiegare, o tentare di spiegare, la teoria ai colleghi, e non tutti gli saranno ostili, essere un "dice man" è catastrofico per la sua professione.
Ma ci saranno clamorosi sviluppi, e questo stile di vita così bizzarro contagerà anche altre persone. Come potrete prevedere c'è un sacco di sesso in queste faccende, fatto che potrebbe essere pericoloso per i matrimoni, sia che l'altra metà della coppia sia ostile alla teoria del dado, sia che l'abbia adottata (visto che gli effetti possono essere imprevisti).

Ovviamente questo è un libro da leggere (se questo accenno vi ha fatto venire la curiosità) e non da farsi raccontare, per cui non anticipo tutti i paradossi, i controsensi, le situazioni comiche che si verranno a generare, né la "filosofia" che si svilupperà a partire dai sacri tiri del dado.
Accenno al fatto che l'autore ha in effetti pubblicato diversi seguiti a The Dice Man ma non ho la più pallida idea se valga la pena di leggerli o meno. Vi invito però a leggere questo primo libro della serie.

Appendice...
Qui la recensione è finita. Accenno ora, con qualche anticipazione della trama in più (siete avvisati) e non solo su questo libro, a una scoperta, se scoperta è, che ho fatto leggendo delle imprese dell'uomo dado. Probabilmente mi potrà seguire solo chi, come me, ha letto sia The Dice Man che Fight Club di Chuck Palahniuk. C'è stata una frase di Rhinehart-Cockcroft che mi ha colpito, quando il suo protagonista, rompendo gli obblighi di prudenza cui dovrebbe attenersi come terapeuta, inserisce strane attività nella terapia dei pazienti. A un certo punto manda i suoi pazienti bulli e prepotenti a provocare un combattimento con un avversario più debole, ma con l'ordine di perdere. È esattamente l'ordine che Tyler Durden in Fight Club impartisce ai suoi fedelissimi, quando comincia a formare la sua strana armata di seguaci. Ci ho riflettuto su.
L'atmosfera di rottura degli schemi, di leggere qualcosa che a ogni pagina può essere imprevedibile, era uguale in entrambi i libri, ora che ci pensavo (ovviamente Fight Club, avendolo letto dopo aver visto il film, mi aveva sorpreso sullo schermo e non su carta). Secondo me ci sono delle somiglianze.

Il protagonista di Palahniuk è in un momento di crisi esistenziale e cerca delle soluzioni alla sua sofferenza. Gli vengono suggerite da un altro individuo, Tyler, che però altri non è che lui stesso (in uno sdoppiamento di personalità del protagonista... sia nel film che nel libro è evidenziato tardi ma si può intuire prima). La soluzione di Tyler Durden è prendersi a botte con un altro uomo, non per vincere lo scontro (non c'è mai bramosia di vincere nel libro o nel film) ma per recuperare la sensazione della fisicità, della mascolinità e dell'istinto. E allo stesso tempo respingere l'artificiosa società moderna. Così nace il Fight Club. Ma anche Luke protagonista di The Dice Man parte da un'insoddisfazione, sviluppa una teoria, fa proseliti, crea dei centri di istruzione, forma altre persone per insegnare ai neofiti la dice-life... il tutto ovviamente con una caotica concessione alle decisioni casuali del dado e non con la fredda efficienza militarista di Tyler Durden.

L'intenzione di prendere a pugni nello stomaco le convenzioni sociali e le convinzioni del lettore è la medesima, ma mentre il discorso di Cockcroft è molto ampio e tocca un terreno complesso (psicanalisi e filosofia, con escursioni anche in sociologia, politica e religione), Palahniuk prende un argomento solo, ma specifico, e va al sodo: l'insoddisfazione del maschio, maschio con sangue rosso nelle vene e istinti maschili, rispetto al mondo di oggi. E l'ambizioso obiettivo di cambiarlo, il mondo. Qui ovviamente c'è un nemico da combattere direttamente, mentre in The Dice Man c'è piuttosto una società intera da scardinare. Il tema di per sé è diverso, e certo anche più efficace e vicino al mondo di oggi, questo a Palahniuk lo riconosco, ma i due libri con tutte le loro differenze procedono su una linea decisamente simile, il che nel caso di un'opera "insolita" come Fight Club riduce molto le possibilità di una somiglianza accidentale.

Dopo aver notato queste similitudini (ho provato a googlare l'argomento, non sono il solo a notarle), sono arrivato alla conclusione che il successo che ha lanciato Chuck Palahniuk abbia qualche debito, non piccolo, non accidentale, non su elementi secondari, con questo capolavoro dimenticato degli anni '70. Conclusione che mi spiace un po' perché Fight Club a me piace molto, sia il libro che il film, e ovviamente mi sembrava originalissimo.

Per gli anglofoni: potete trovare qui una intervista a George Cockcroft


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